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Emily

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Emily.
Diceva di chiamarsi Emily, lo stesso nome della passata fidanzata di Uriah.
Un caso, doveva essere un caso: per forza.
La guardai ancora, adocchiandola dalla testa ai piedi. Bionda, smilza, bella: forse non era un caso.

«Ho bisogno di sedermi,» ammisi, traballante, e mi appoggiai al muro, cercando di non svenire. «Un po' d'acqua.»

«Acqua?» Domandò lei, sconvolta. Poi, capì. «Sì, acqua.»
Corse a versarmi un bicchiere, porgendomelo con cura. Lo bevvi in un unico sorso, cercando di affogare il magone. Forse, avevo bisogno di qualcosa di più forte.

«State bene?»
Emily era a tre passi di distanza e mi guardava con vera preoccupazione, capendo che il mio malessere era sincero. Io sapevo che lei non poteva essere lì, davanti ai miei occhi, ed Emily comprendeva quanto poco riuscissi a concepire quella realtà. La testa mi scoppiava.

«Sì, credo di sì,» sussurrai, mentendo anche a me stessa. «Sono solo...confusa.»

«Credo di capirlo,» ammise, e levò un breve sorriso. «Forse non vi aspettavate di trovare qualcuno quaggiù.»

Per la precisione, non mi aspettavo di trovare lei.

«Io...Uriah mi ha parlato di voi,» ammisi, così, cercando di recuperare il filo. «Siete la sua Emily.»

Sentendo quella frase, la ragazza arrossì notevolmente e si imbarazzò. «Ci sono molte cose che dovreste sapere.»
E attendevo con pazienza, ma, giusto in quel momento, dei passi veloci ci raggiunsero, così come il volto sconvolto e stranito di Uriah. Ci guardò entrambe, passando da un volto all'altro e, infine, si avvicinò ad Emily, prendendole la mano. «Tesoro

«Dovremo spiegarle,» ammise, spezzata. «Non credi sia giusto?»
Mi incisi nella mente quella scena: Uriah che correva da Emily, stringendola a sé, pronto a proteggerla dal mondo. Mentre io ero ancora lì, ferma e sola, con solo un bicchiere d'acqua fra le mani. Era il sunto concreto della mia realtà, un vero schiaffo a tutti i miei sogni. Io ero quella che restava sola.

«Ophelia, mi dispiace.» Uriah lasciò la fidanzata, chinandosi davanti a me e sfiorandomi le mani, cercando di consolarmi: «speravo di avere il tempo di parlartene prima di...scoprirlo.»

Voleva parlarmene. Quindi, quale era il suo piano? Sposarmi, magari usarmi come copertura, sapendo bene che io non avrei mai potuto rifiutarlo, una volta infilato l'anello? Era una prospettiva terribile.

«Solo...credevo vi foste lasciati,» dissi. Mi sentivo stupida, quasi quanto quelle scialbe frasi che tentavo di pronunciare, rimarcando solo l'ovvio. Ero completamente distrutta.

«È quello che si aspettavano da noi," ammise Uriah, accogliente: «ma non era possibile, Ophelia, non per l'amore che sapevamo di provare.»

«Mio padre sperava in tutti i modi di dividerci,» si aggiunse Emily, a sostegno: «quando scoprì che mi ero innamorata del figlio di un semplice soldato, ne rimase distrutto. Lui era il cacciatore di streghe della mia ragione e non poteva permettere che sua figlia sposasse un ordinario civile. Voleva costringermi ad un matrimonio forzato e, così, siamo stati costretti a difenderci.»

Corrugai la fronte, perplessa: in quel difenderci poteva esserci nascosto di tutto.

«Cosa intendete?» Domandai, confusa, e i due si lanciarono uno sguardo – cosa estremamente preoccupante. Alla fine, fu Uriah a parlare.

«Io ed Emily decidemmo di giocarci il tutto e per tutto. Mio padre era morto e lei disprezzava la sua famiglia, così possessiva – in tutta la nostra esistenza, non avevamo che noi, e la fortuna di esserci trovata non poteva svanire a colpa di un futuro che non potevamo nemmeno scegliere. Così, una sera, abbiamo preso la nostra decisione: andammo nelle segrete e liberammo i prigionieri. Questi, ovviamente, non se lo fecero ripetere due volte: fu una carneficina. Io ed Emily siamo scappati, ma lei non poteva più farsi vedere, perché avrebbe alzato troppe domande dal popolo. Così, abbiamo seguito l'unica pista che ci rimaneva: siamo fuggiti ed io ho sfruttato il passato militare di mio padre per impormi come cacciatore. Le opportunità sono state tante, e, alla fine, siamo venuti qui, a Salem: conoscevo il volere di mio padre e speravo di trovare un...accordo con te.»
Un accordo. Cercava un accordo, non un matrimonio, non un amore.
Non lo aveva detto, ma era palese. Mi spensi come una fiamma lasciata alla tempesta.

«Che genere di accordo?» Domandai, in un flebile sussurro.

Emily accarezzò la spalla di Uriah, donandogli un poco di forza in quel momento. Era una ragazza e sapeva bene che cosa stava per accadere: mi stava per spezzare il cuore.

«Ci sarà il matrimonio, Ophelia, ma non ti chiederà più di una semplice convivenza e, magari, un poco di rispetto. Io vivrò con Emily e tu potrai decidere il tuo destino, restando comunque nell'agio e nella sicurezza della tua posizione. Saremo liberi.»

Liberi.
Che splendida parola, soprattutto quando pronunciata da una bocca amica. Libera non lo era stata mai e, ancora una volta, mi ritrovavo in una strada senza uscite.

«Tu parli di un accordo, Uriah, ma sai bene che non è così per me,» commentai, sprezzante: «se dovessi rifiutare, dovrei tornare da Adam e, come sposa rifiutata, non potrei aspirare ad altro se non a passare la mia vita con mio fratello. Ed io non ho intenzione di tornare da lui.»

«Avreste il nostro massimo rispetto,» aggiunse Emily, cercando di rincuorarmi: «vivrete una vita vostra, solo che sareste legalmente unita ad Uriah. Il vostro cuore sarà di chi sceglierete.»
«Dov'è Hamlet?»

Fu tutto ciò che riuscii a dire, l'unico fiato che il mio corpo riuscii a recuperare.
«Hamlet?» Chiese Uriah, confuso.

«Il prigioniero,» spiegò Emily: «il prigioniero nella cella qui fuori.»

«Dov'è?» Continuai, iniziando ad innervosirmi. »È un delinquente, dovrebbe essere qui, nella sua cella. A meno che-»
Mi bloccai, non riuscendo a continuare la frase, ed alzai lo sguardo su Uriah: bastò quel colpo d'occhio, e tutti si fece molto più chiaro.

«Non era sua intenzione collaborare,» si scusò, quasi: «non aveva senso continuare a mantenerlo, ci servivano nuove posti.»

Non aveva senso mantenerlo.
Quindi, alla fine, era stata fatta giustizia. Nella mia mente, si impresse con forza l'immagine di Hamlet appeso per il collo al rogo al centro del villaggio. Era lì, con le dita di carbone e la lingua tagliata, mentre tutti i cittadini si facevano beffe di lui. Una lacrima gelida infranse il mio volto, e il bicchiere cadde dalle mie mani quando mi rialzai.

«Non era uno stregone!» Urlai, sconvolta. «Non doveva morire!»
Uriah abbassò lo sguardo, quasi in imbarazzo. «Mi dispiace, Ophelia. Questa è la legge.»

No, non poteva essere vero.
Hamlet non era uno stregone; non era morto e, soprattutto, quel giorno non era mai esistito. Volevo tornare indietro nel tempo, volevo tornare a quando c'era ancora una ragione per andare avanti.

Strinsi il nastro di raso intorno alle mie dita e, infine, lo gettai addosso ad Uriah, colpendogli il viso. «Tieniti i tuoi sporchi segreti e i tuoi insulsi accordi: tanto, alla fine, vincete sempre voi.»
«Ophelia,» provò a chiamarmi Emily, ma io corsi via, non riuscendo a tollerare oltre quello scempio. Tornai nella mia camera e, furiosa, feci scorrere l'armadio contro la porta, volendo impedire ogni eventuale tentativo di avvicinamento.

Quasi mi strappai il vestito e gettai via le scarpe, fuggendo fra le coperte del mio letto. Ero arrabbiata, ero furiosa ed ero ferita: tutto e niente nel medesimo istante. Non mi meritavo anche quello, non meritavo anche quel dolore.
Ed Hamlet, lui era morto, giustiziato come il peggiore dei malviventi. Nemmeno lui lo meritava, era una persona migliore di questo destino. Io gli volevo bene, gli volevo dire addio, ed ora era morto.

Non esisteva giustizia nel mondo dei giusti, ma solo tetri inganni e cuori spezzati. E, come al solito, mi ritrovavo ad essere la vittima.
Non potevo farcela.

Angolo

Nuovo capitolo!
Ne ho scritti altri tre e che dire: al via con il declino😂
Cosa vi aspettate accadrà?

A presto,
Giulia

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now