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Uriah martellava con pesantezza il pennino sulla scrivania, nervoso.
Io restavo davanti a lui, immobile e con le mani giunte, martoriata dai pensieri.

Sapevo che fosse arrabbiato con me - era palese - e lo detestavo: Uriah, quando indispettito, sapeva essere crudele.
Dovevo sistemare quella situazione.

«Mi dispiace per essere scappata,» provai, cauta: «ve l'ho già detto: non era mia intenzione ferirvi.»

«Forse dovreste pensare di più prima di compiere tali sciocchezze, Ophelia,» brontolò lui, nervoso. «Vostro fratello avrà immaginato una nostra distanza.»
Mi morsi il labbro, tesa, e cercai di mantenere la mente lucida. Detestavo quando si parlava di Adam.

«Mio fratello non è sano, Uriah, e lo sapete bene. Siete stato scaltro, trovando quella scusa, ma temo che non basterà: non si fermerà fin quando non avrà ottenuto ciò che vuole.» Sospirai, calmandomi. «Avete detto che immaginavate che Adam non fosse buono con me - beh, è vero. Mio fratello è morbosamente malato, e crede di essere infatuato di me. È una cosa che gli prende la testa e che non gli lascia scampo, ma non posso dire che provo pena per questo. Lui non l'ha avuta con me.»

«Ha abusato di voi?»
Scossi il viso, detestando quei ricordi.

«No, anche se credo che se ne sia pentito. Togliendomi la verginità, non avrei potuto far altro se non rimanere con lui: forse, non credeva che un uomo si sarebbe mai interessato a me.»

«Io sono stato la miccia,» commentò, stanco: «sa di avervi perso e non si perdona, perciò cercherà un modo per vendicarsi.»
«Temo di sì.»

Uriah si lasciò andare contro la sedia, esausto. Sembrava stanco, in effetti, e non l'avevo mai visto così pallido e tormentato. Mi spiacque per lui, in realtà, perché sembrava portare il peso di tutto il mondo sulle spalle: in realtà, era tutta colpa mia.
Che mi fossi sbagliata su di lui? Uriah non si era sempre comportato bene - si arrabbiava, mi minacciava - ma era pur sempre un uomo e figlio del suo tempo. Non lo giustificavo, ma mal capivo, perché anche io, molto spesso, ero stata costretta a comportarmi in un modo dettato dalla società, più che dal cuore.
Ero giunta a tollerare un fratello che mi baciava, addirittura.
Erano tempi strani, quelli, e dovevo fare qualcosa.

«Voglio aiutarvi, Uriah,» dissi, calma.

«L'ultima volta che avete tentato di avvicinarvi al mio mondo ne siete rimasta traumatizza,» ricordò lui, duro.
Come non dargli ragione?

«Non potrò mai accettare il vostro impiego, Uriah: per i miei occhi, voi state uccidendo donne innocenti senza una ragione. Ma siamo destinati a sposarci e siamo entrambi bloccati da questa rivolta: non dico che dovremo amarci, ma potremo tentare di andare d'accordo.»

Uriah mi contemplò per qualche istante, anche lui perplesso. «Volete andare d'accordo con me?»

«Potremo partire col darci del tu, se lo preferite,» commentai, tirando un sorriso. «Voi non siete una persona amabile, Uriah, e molto spesso non ci tenete nemmeno ad esserlo, ma so che c'è del bene in voi, e mi piacerebbe conoscerlo. Una persona che sa amare non può essere indifferente agli altri esseri umani.»

«Continuate a sostenere che io ami qualcuno,» notò, pensoso.
«È quello che ho capito dal vostro bacio,» affermai, senza nascondermi. «E mi dispiace per il vostro dolore: le persone dovrebbero essere libere di sposare chi prediligono, qualunque sia la loro classe.»

Nemmeno io mi rendevo conto di come potessi essere tanto concreta e tanto calma: che fosse questa la sensazione di un cuore in pace? Stavo dicendo ad Uriah le cose come stavano, senza troppe velature e giri di parole: solo la verità, quella che ci avrebbe salvati.
Con quell'arma in mano, mi sentivo molto meglio.

«Quindi, cosa ne pensate? Posso darvi del tu
Uriah restò in silenzio, ancora non convinto - probabilmente, fidarsi non faceva ancora parte della sua natura.
Ma c'era una crepa in lui, una ben visibile, e, oltre a quella, il sole traspariva lievemente.
Stava per crollare.

«Il suo nome è Emily,» confidò, infine: «l'ho vista per la prima volta quando avevo nove anni, in chiesa. Lei era molto ricca, io il figlio di un soldato senza una madre: in poche parole, non si accorse di me sin quando non le salvai la vita.» Sorrise amaramente sulle note di quel ricordo. «Un uomo del nostro paese era infatuato di lei, per quanto sapesse di non meritarla, e, un pomeriggio, forte della sua ubriachezza, la rincorse mentre era a far compere con la madre. Io ero lì, con mio padre, e non ci pensai due volte: presi un masso e lo ruppi in testa a quell'uomo. Lui, sfortunatamente, non morì, ed Emily mi aveva visto. Si innamorò di me quasi subito, come se fosse parte del nostro destino, e volevamo fuggire insieme.»
Uriah non terminò il suo racconto ma, vedendo come si stavano svolgendo le cose, sembrava palese il finale.
Qualcosa gliela aveva portata via.

Lentamente, allungai le mani oltre la scrivania, prendendo le sue e stringendole piano. Lo guardai negli occhi, confidandogli quanta più forza riuscissi. «Mi dispiace, Uriah.»
Lui, quasi imbarazzato, intrecciò le dita alle mie, restando lì a guardarle. Pensava ad altre mani.
«Dispiace più a me.»

Sorrisi, felice, e mi sedetti di nuovo, sistemandomi il vestito. «Quindi, questo è un nuovo inizio?»
Uriah ricambiò e, di rimando, prese un foglio dal cassetto, porgendolo. «Un segno di pace.»
Era il disegno, quello di cui mi aveva parlato: i nostri padri, giovani come non mai, erano incisi a inchiostro intorno ad un tavolo, parlando calmi.
Mio padre era bello come non lo avevo mai visto e portava ancora i capelli lunghi: era identifico ad Adam.
Sorrisi, accarezzandogli il volto. «È fantastico, Uriah.»

«Mio padre viveva a Salem da giovane,» spiegò lui: «si è trasferito dopo la morte di mia madre, quando avevo cinque anni. Era un soldato fiero ma, giunto alla maturità, il peso delle sue azioni lo aveva sfinito: si è impiccato senza lasciare biglietti.»
Alzai lo sguardo, sconcertata da quel racconto di cui, ovviamente, non avevo idea.
«Andrà tutto bene, Uriah.»

Lui borbottò. «Ci dovremo sposare, avere dei bambini.»
Come idea, non era affatto allettante, ma, in fondo, che altre possibilità avevamo?
È vero, mi stavo infatuando di Hamlet, ma lui, per quanto nobile, restava un delinquente senza futuro. Avevo vissuto in agonia per buona parte della mia vita: ero davvero pronta a farlo ancora, per una persona che, magari un giorno, mi avrebbe spezzato il cuore? Quale era il meglio per me?
Non avevo troppe scelte.

Così, mi affacciai al mio futuro. Lentamente, mi alzai e, delicata come una farfalla su un fiore, posai le mie labbra su quelle di Uriah. Fu un gesto veloce, quasi inesistente, e poi tornai subito al mio posto.
Era stato tremendo, ma ne avevo avuto bisogno: dovevo comprendere quale fosse la realtà e i miei limiti, magari smettendo di vagare con la mente fantasiosa che avevo.
Uriah amava un'altra donna ed io pensavo ad un ragazzo impossibile, e, comunque, saremmo finiti per sposarci: tanto valeva trovarci qualcosa di buono.
Solo, non era così facile.

«Ophelia,» provò a dire lui, spiazzato.
Scossi la testa, fermandolo.
«Te l'ho detto: andrà bene.»

Angolo

Buona domenica, ecco il nuovo capitolo!

Uriah shippers, siete forse felici? Questa relazione sembra un po' strana 😂😂
In realtà, mi sorprende che shippiate di più Ophelia con il ragazzo che la tratta peggio 😂

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto,
Giulia

Ophelia | il cacciatore di stregheWhere stories live. Discover now