Capitolo 26

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Giorno 17 Di Crociera – Patmos, Grecia

Lauren's Pov

Qualche ora prima

Tutto quello che so di noi è che le cose belle non durano mai, ecco perché le lucciole luccicano.

Ero sta sdraiata nel buio pesto ascoltando musica per quello che potei supporre fosse stata la maggior parte della notte. Canzone triste dopo canzone triste, sguazzando nel profondo della mia pietà, ma quella canzone, al di sopra di ogni altra, mi aveva davvero colpita.

Forse ero stata stupida a pensare che avrei potuto in qualche modo aggrapparmi a Camila, il piccolo sprazzo di luce che aveva finalmente trovato la sua strada nella mia vita. Non ce l'avevo mai fatta prima, quindi non so perché fossi stata così stupida da credere che le cose potessero cambiare. Fin da bambina avevo imparato ad accettare il fatto che le cose belle non succedessero a me. O forse si, ma non durassero mai. Non importava quanto ci provassi, quanto li stringessi, o quanto li tenessi vicini, tutto il buono, cose buone, brave persone, buoni sentimenti, sembravano sempre scivolare via da me. Con il passare del tempo, perdere la gente era diventata la mia seconda natura e avevo scoperto che più lo sperimentassi, meno mi colpiva. Con ogni persona che perdessi sembrava fare meno male, o forse faceva lo stesso male ma ero io che gradualmente diventavo solo più insensibile alla sensazione, insensibile alla vita in generale forse. Diventava una parte di quello che ero, un fatto come tutti gli altri. Il mio nome era Lauren. Avevo gli occhi verdi. Mi piaceva cantare. Non riuscivo a far restare nessuno. Solo un dato di fatto.

Mia madre era stata la prima ad andarsene quando avevo cinque anni, seguita tre anni dopo da mio padre, Chris e Taylor... e dopo sembrò andare come una spirale verso il basso. Una spirale di vetro con niente su cui aggrapparmi mentre scivolavo sempre più lontano da tutto ciò che mi interessava. La perdita diventò la norma dopo, le manciate di assistenti sociali che dicevano che non si sarebbero arresi con me, ma lo facevano, le decine di famiglie affidatarie che sostenevano di essere diverse ma non lo erano, gli innumerevoli amici che mi avevano promesso che non mi avrebbero dimenticata quando ero costretta a trasferirmi dalla famiglia successiva ma non mi avevano più chiamata. Uno dei miei genitori adottivi me l'aveva spiegato una volta. Se ricordo bene mi aveva detto che fossi come un'erbaccia umana, appassivo e distruggevo tutto ciò che cercava di crescere intorno a me. Disse che era per quello che fossi da sola e perché lo sarei sempre stata. Non sopportavo quella puttana, ma forse aveva ragione. Camila era un fiore, cercava solo di crescere e io l'avevo distrutta. Scaraventai i miei problemi e le mie bugie intorno a lei finché non è riuscita più a respirare. Tutti sanno che un fiore così bello come quello non può crescere e prosperare accanto all'erbaccia.

Stavo cadendo sempre più in basso nel profondo della mia autocommiserazione quando un ticchettio alla porta mi fece uscire dai miei pensieri. Per una frazione di secondo pensai di ignorarlo fino alla realizzazione che potesse effettivamente essere Camila, chi altro avrebbe bussato alla porta nel cuore della notte? Mi alzai dal letto camminando intorno alla stanza, armeggiando nel buio fino a trovare la maniglia della porta. Mentre aprivo la porta, il drastico cambiamento di luce mi accecò un momento, e istintivamente iniziai a proteggermi gli occhi con le mie mani.

Mi separai leggermente le dita, strizzando gli occhi a chiunque mi stesse davanti, la crepa nelle mie dita ora rivelava un sorriso familiare, sfacciato ma fastidioso, che conoscevo fin troppo bene.

- "Rich, perché stai bussando alla mia porta nel bel mezzo della notte?" mi lamentai.

- "...Lauren, sono tipo le dodici. Sei fatta o qualcosa del genere?" mi rispose lui con un tono di voce leggermente perplesso.

Lifeboat Lighthouse (Traduzione Ita Camren)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora