31. Boccioli di vaniglia

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Crediamo di appartenere ai nostri silenzi.
Alle bugie dette.
Agli spazi che separano gli animi.
Alla negazione.
Alla bellicosità continua tra cuore e mente.
Una guerra insaziabile che finisce per saziarsi di te.
Della tua essenza.

Apparteniamo alle cose che crediamo di meritare, perché non osiamo spingerci oltre il limite.
Sappiamo che quel confine non va oltrepassato perché il buio che incontreremo oltre ci farà sentire spaesati.
Non ci sarà niente di conosciuto e dovremo remare tra un mare di desolazione e sconforto prima di arrivare ad un'isola che possa anche solo somigliare alla vera essenza del familiare.

La paura incalza il ritmo.
Marcia energicamente fino a farci perdere la speranza.
Continua la sua fottuta marcia alla ricerca della resa.
L'uomo si renderà di fronte alla paura e sarà il giorno in cui le tenebre avvolgeranno gli animi e comincerà una dominazione della suddetta.
Eri bella, paura.
Quando limitavi l'uomo nel suo piccolo.
Eri bella quando non cercavi di paralizzare l'essere umano nelle sue azioni, facendogli contorcere le budella come un panno strizzato via dell'acqua.
Eri bella quando eri solo un'idea lontana.
Paura, dal suo vestito rosso magenta che sparge timore come semi, dal quale terreno fecondato nascerà il fiore e poi il frutto dell'angoscia, che l'uomo mangerà per fame e disperazione.

Ogni uomo trema inconsciamente di fronte a Lei.
Nessuno è mai riuscito a vincerla, perché è un concetto intrinseco al vivere; finché ci sarà essere vivente in grado pensare, la paura si attanaglierà in lui in cerca di dissipare ogni particella del suo corpo.
Si nasconderà nei meandri più bui del cervello, come un parassita sottocutaneo che si insinua nella pelle, strisciando verso l'encefalo per dominarne le funzioni.
E quando l'uomo non ci sarà più, la paura dominerà sul resto del mondo animale, e poi in quello vegetale, estinguendo qualsiasi forma di vita, o sottomettendola a sé.

La paura è quel parassita che alla fine vincerà sempre, perché nessuna nozione di medicina, di scienza, di fede o di magia potrà mai riuscire a sradicare la sua postazione così attaccata alla vita.

Davina sapeva bene che la paura poteva essere fatale per lei e per la sua incolumità.
Aveva imparato a convivere con essa in funzione delle minacce di Walburga, del suo continuo sminuirla di fronte agli altri.
Aveva imparato a farsi amica quella paura che inizialmente temeva di guardare negli occhi.
Ma dopo varie sedute assieme a lei, aveva iniziato a fare l'abitudine alla strana sensazione di fiato corto, di battito accelerato, di iperidrosi.
Ogni qual volta perdeva la funzione delle terminazioni nervose perché si trovava paralizzata.
Ogni qual volta che il suo corpo diveniva freddo come un cubetto di ghiaccio.
Ogni qual volta la sua pelle era talmente tesa da potersi strappare.
Si era abituata ad ogni sintomo della paura ed era finita per convivere assieme a lei.
La paura era diventata la peggiore e la migliore coinquilina che Davina potesse avere.

Questa paura si faceva sentire anche ogni qual volta Tom Riddle attraversava da estremo ad estremo la sala comune di Serpeverde e lei rimaneva impassibile a guardarlo camminare, una brezza che leggiadra faceva svolazzare il suo ciuffo e il suo mantello.
Lei si perdeva nei piccoli movimenti del ragazzo, fondendo i suoi occhi con il corpo di lui.

La sera della festa nella Stanza delle Necessità non rappresentava solamente un'occasione di svago per lei, ma rappresentava anche un momento più consono per parlare a Tom dei suoi sentimenti.
Probabilmente se ne sarebbe fregato e l'avrebbe derisa, ma lei preferiva renderlo partecipe del suo mondo interiore, perché sapeva che in qualche modo, anche se solo carnalmente, avrebbe ricambiato i suoi sentimenti.

Si preparò fisicamente e psicologicamente per quella sera, truccandosi come non aveva mai fatto prima e sfoggiando un abito nero che teneva da parte per le occasioni speciali.
Il corpetto, assieme alla carne dell'addome, stringeva anche le emozioni che rischiavano di trapelare dal suo petto. Il battito cardiaco non era uniforme, ma ogni tanto le crepitava nella cassa toracica come se stesse bussando per avvertirla di smettere di provare sentimenti tanto forti.

Venena -TMRDove le storie prendono vita. Scoprilo ora