48. Mamma, sto tornando a casa

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Amava guardare le vite delle persone attraverso le finestre delle loro case. Era consuetudine per lei diventare una mosca che spiava dal mondo esterno, annullando le distanze frapposte tra sé stessa e la gente che semplicemente esisteva.
Dalla piccola baita in legno che discendeva la via di casa dei Milligans riusciva a scorgere Oleg e sua moglie in cucina, intenti a preparare la cena. Virginia tagliava, sminuzzava finemente le verdure per la cena, mentre Oleg cercava di ventilare il più possibile la stanza, in più si sventolava con un vecchio giornale il volto canuto.

I Milligans erano vicini degli Wyatt da anni, sin da prima della nascita della piccola Phoebe, che passava con loro la maggior parte del tempo.
I genitori di Phoebe non potevano accudirla, non volevano più che mai farlo; suo padre era andato in guerra, sua madre lavorava per supplire alla mancanza di posti di lavoro nel mondo Babbano causati dal conflitto mondiale, e quando tornava da Hogwarts la sua casa era buia e afosa, tempestata da un odore di chiuso che faceva girare la testa.
Così tutte le estati si rifugiava dai Milligans, una coppia di anziani senza figli che amava e sfruttava la serenità della sera e la vivacità del mattino.

Spesso pensava a come sarebbe stata la sua vita se fosse stata figlia loro.

Virginia le rimboccava le coperte con una cura che sua madre non aveva mai avuto.
Oleg le diceva spesso che era fiero di lei e dei suoi piccoli incantesimi come suo padre non aveva mai fatto.
Anzi, se si poteva, suo padre la odiava ancora di più da quando era arrivata la fatidica lettera sette anni prima.

"Una strega? Ma che diavoleria è mai questa?"-aveva annunciato leggendo quel pezzo di carta stampato con cera lacca rossa.
"Deve esserci un errore!"
"Nessun errore"-aveva sentenziato la madre avvilita-"mia nonna era una maga, ma poi la linea si è interrotta con mia madre e me...e ora tu-puntò il dito contro la figlia- stai ripristinando tutto il male che abbiamo faticato ad eliminare con preghiere e benedizioni!"

La famiglia di Phoebe era molto religiosa, o meglio lo era diventata dopo la perdita del primo figlio effettivo, nato con una grave malformazione alle ossa e morto pochi anni dopo la sua nascita.
"Dovevi esserci tu al suo posto"-aveva dichiarato il padre lo stesso giorno della lettera, e Phoebe sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo.
Doveva essere lei a morire e non Franz. Non il suo amato fratello che tutti sembravano osannare.
Lui non sarebbe stato un mago.
Lui non sarebbe stato un licantropo.
Lui non sarebbe stato un problema.

Ma questa volta sarebbe stato diverso. Si era decisa a tornare a casa dopo anni perché ormai si era diplomata e il mondo magico, forse, non le apparteneva più.
Poteva riuscire a riappacificarsi con i suoi genitori se solo lo avesse voluto veramente.

"Sarò brava"-si ripeteva camminando sopra quel marciapiede che segnava la via del ritorno a casa.
Calciava di tanto in tanto qualche sassolino che trovava nel percorso, mandandolo lontano, sempre più lontano fino a sparire dalla sua visuale.

"Sarò brava"-continuò a ripetersi mentre mentalmente ripassava tutti i discorsi che avrebbe poi comunicato ai suoi genitori. Le mani che si allacciavano inestricabilmente l'una all'altra fino a farsi male.
Un altro imminente attacco di ansia stava arrivando e lo sentiva dalla punta dei piedi fino all'ultimo capello.

Si fermò in mezzo alla strada ciottolata che segnava il punto d'arrivo della via di casa sua.
"SARÒ BRAVA"-si ritrovò persino ad urlare, con le lacrime che rigavano il volto gentilmente e la bocca allungata all'ingiù, che lasciava intravedere un ghigno rabbioso.
Come poteva essere davvero brava se le avevano fatto credere di essere stata cattiva per tutta la vita?

Decise di calmarsi, poiché i suoi genitori non l'avrebbero mai accettata se avesse continuato a dimostrare di essere cattiva e rabbiosa, sempre colta dalle lacrime e mai da un sorriso, con il corpo pervaso da attacchi di panico e mai dalla tranquillità.
Questo pensiero la aiutò a ripulirsi le guance dalle lacrime e a continuare il suo percorso.
E così Phoebe attraversò malinconicamente quella via, desiderando di essere quello che non sarebbe mai potuta essere: una figlia.
E sapeva di meritarselo in fondo, perché no?
Perché non lei? Pensava veramente di sfuggire alla crudeltà del destino? Sì.
Poteva farlo? Assolutamente no.
L'avrebbe travolta comunque, volente o nolente, sarebbe stata soggetto dell'esperimento che il destino portava avanti sugli uomini da anni: quanto dolore può infliggere prima che l'umano si arrenda e muoia.

Venena -TMRWhere stories live. Discover now