ROSA BIANCA

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In questo capitolo verrà sbloccato un piccolo tassello.
Fate molta attenzione ai dettagli🤍

Buona lettura🦋
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•Pov's Theodore
Tornai a casa mia, a malincuore.
In quel piccolo sobborgo nella periferia di Londra, conosciuto per essere uno dei più solitari, anche di giorno.
La mia villa era diversa dalle altre dimore, le poche costruite in quel quartiere, e spiccava per il colore tetro delle sue mura.
L'esterno di essa la rendeva ancora più terrificante di quanto non lo fosse all'interno, sia per l'arredo che per la sua storia.

Trascinavo il baule con enorme angoscia e m'avvicinai al citofono: Famiglia Nott.
Bussai più volte ma nessuno si scomodò ad aprirmi, passarono circa 20 minuti prima che la porta di casa mia mi lasciasse spazio per entrare.
-"Theodore."
-"Padre."

Vidi il volto di mio padre.
Era più sciupato del solito.
Dopo l'assenza di mia madre iniziò a mangiare poco e male, non volle assumere neanche una domestica che potesse cucinargli da mangiare e dunque decise che ognuno avrebbe dovuto provvedere per se'.
Negli anni smise di mangiare quasi del tutto, o almeno non lo faceva regolarmente, fino ad arrivare a pesare poco più 45 chili.
Alzai lo sguardo verso il suo volto, stanco.
Sembrava che non dormisse da mesi, forse per tutti quelli in cui ero mancato per studiare ad Hogwarts.
Gli occhi apparivano sempre spenti, come se al posto delle iridi avesse due grossi pezzi di carbone.
Neri, più del cielo a mezzanotte.
Da cornice al suo sguardo sfatto presentava delle occhiaie bluastre, simmetricamente uguali, che si estendevano dall'incavo interno dell'occhio fino alla parte più bassa della palpebra inferiore.
-"Cos'é questa faccia?" domandò con tono grave, mirandomi da capo a piedi-"Entra." strinse con poca grazia il mio maglione dal lato della spalla destra, e mi trascinò all'interno di quella casa.

Entrai a passo pesante.
Più pesante della mia anima nera.
Anima dannata e condannata a vivere in quelle mura che sono state testimoni oculari della morte di mia madre, l'unica persona al mondo in grado di capire il mio stato d'animo, il mio essere.

Senza neanche degnarlo di un misero sguardo, superai mio padre con una spallata e m'incamminai verso le scale per rifugiarmi al piano di sopra.
-"Dove credi di andare?" tuonò.
Arrestai il passo ma rimasi di spalle-"Dopo 4 mesi che non vedi tuo figlio é l'unica cosa che sai dire?
Non t'interessa neanche un po' di come stia, pensi sempre e solo ai cazzi tuoi."

Mi rinchiusi nella "Stanza della musica", soprannominata così da mia madre, adibita per quello che era il suo hobby preferito ovvero suonare il pianoforte e intonare dolci melodie.
Un tempo i colori e l'armonia di quella stanza eran capaci d'illuminare anche il sole, adesso non basterebbe neanche tutta l'elettricità di questo mondo per sperare in un minimo barlume.
Ad oggi era immersa nella più totale oscurità, priva di qualsiasi oggetto superfluo.
Nessun pezzo d'arredamento.
Nessuna lampada o candela che potesse illuminarla.
Niente tende dal tessuto dai colori sgargianti.
Non c'era neanche la cesta contenente i miei giochi preferiti, tra cui i trenini in legno che Narcissa, la mamma di Draco, era solita donarmi ogni qual volta mi presentassi in casa loro.

L'unico oggetto presente in quella stanza era un pianoforte, quello di mia madre.
Alla sua vista raffiorarono nella mia mente tutti i ricordi di quella sera, prima della tragedia, in cui mia madre ed io eravamo seduti al lungo sgabello di quel piano a suonare insieme una musica inventata da lei.

Feci un respiro profondo.
Mi guardai attorno e presi coraggio.
Andai a sedermi su quello stesso sgabello, da solo.
Sfiorai la sua pelle nera, la parte che occupava spesso la mia donna preferita.
Mirai i tasti bianchi e neri dello strumento, toccai ognuno di essi e percepii gli acari di polvere attaccarsi ai miei polpastrelli.
Chiusi gli occhi, intonai quella canzone.

IMMORTALWhere stories live. Discover now