Carrie

472 27 1
                                    

La canzone finisce nell'esatto momento in cui Hugo spegne il motore. Solo ora mi rendo conto di aver cantato, per la prima volta, davanti a qualcuno che non sia il mio riflesso allo specchio.
Di solito mi chiudo in camera, con le cuffie, e canto.
Non mi vergogno della mia voce, sento di cantare molto bene, ma è la mia valvola di sfogo e l'ho sempre tenuta per me.
Sento lo sbattere di una portiera e in meno di tre secondi Hugo apre il mio sportello, mi guarda e dice solo "Wow".
"Scusa, non so che mi sia preso, volevo solo.."
"Sfogarti, volevi solo sfogarti. Tranquilla, ognuna ha i suoi modi."
Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra "Io tiro pugni ad un sacco, vedi? Ora anche tu sai un mio segreto."
Sorrido, cerca di mettermi a mio agio. Poi mi volto e davanti a me si apre una piazza, piccola, a semicerchio.
É avvolta da un locale ad ogni pilastro, c'è una pizzeria, un ristorante cinese, una piadineria, un ristorante che sembra essere molto elegante, un sushi bar e una piccola gelateria chiude il semicerchio con un grande cono gonfiabile e una panchina rossa.
Riporto lo sguardo su Hugo, non pensavo tutto ciò potesse esistere in un'unica zona.
"Grazie! È assurdo. Potresti darmi un pizzico? Di sicuro sto sognando e non me ne sono accorta", mentre poso ancora i miei occhi fra tutto quel ben di Dio, porgo a lui il braccio attendendo che mi svegli da questo sogno.
Alza leggermente la manica della giacca e mi stringe una parte del polso tra pollice e indice, il tanto che basta per sussultare un istante.
"Forza -mi incita- scegli. Iniziamo il percorso del perdono"
Vorrei chiedergli cosa preferisce, ma visto che sposta l'attenzione alla parte giocosa del nostro odio, accolgo la sfida.
Mi incammino verso il sushi bar mentre, alzando di un tono la voce, esclamo "Oh bello mio, me ne devi di cene per farti perdonare"
Lo sento ridere, ridere per me, non di me.
Mi segue e mi accomodo in un tavolino fuori del locale, vicino ad un piccolo riscaldamento a parete. Preferisco star fuori, ma se ci sono i confort tanto vale sfruttarli.
Si siede di fronte a me, le sedie sono posizionate (come le definisco io) da anti-approccio.
Una di fronte all'altro non capitano palpate di coscia, sussurri all'orecchio e sbadigli casuali con annesso abbraccio stile cinema.
In questa posizione si comunica e, se si distoglie lo sguardo, lo si nota all'istante.
Il cameriere ci avvicina il tablet su cui ordinare in autonomia, io scelgo una poke al salmone condita come lo chef propone aggiungendo solo delle scaglie di mandorle, abbino una coca zero, dell'acqua e riposo il tablet.
Lui finisce poco dopo di me e si siede più comodo sulla sedia.
"Quindi, eravamo rimasti al fatto del coglione, se non erro. Potremo riprendere da qui."
Mi sorride.
Prendo il pacchetto di sigarette e dopo averne accesa una, sposto l'intero kit nella sua metà del tavolo, come un all-in al poker, cedendogli così la parola.
"Ho già dato più scuse a te oggi, che a chiunque nella mia vita. Non credi che potremo sventolare bandiera bianca e firmare un armistizio?"
"Vedremo, caro mio, vedremo! Sai noi sardi siamo piuttosto orgogliosi"
"Oh finalmente qualche informazione, tu sai già troppe cose di me, conosci la mia famiglia, il mio lavoro, i miei account fake. Preferisco interloquire con qualcuno quando conosco qualche aspetto in più, di te ho appreso solo l'abilità di creare perfetti slogan"
La punta del mio stivaletto colpisce perfettamente la sua tibia, potrei ricredermi sull'utilità di questi tavolini.
Lui sta zitto, abbozza il colpo, alza le mani come per dire "me la sono cercata" e poi lo vedo sgranare gli occhi mentre guarda qualcosa dietro le mie spalle.
Mi sto per voltare quando la sua mano, per la seconda volta in una sera, mi blocca.
"Ti prego...resta così. Devo assolutamente vedere la tua faccia"
Il cameriere arriva, posa i vassoi. Sembra si specchino, identici, uguali, persino la scelta del topping è la stessa. Coca zero in vetro e bicchiere d'acqua a parte.
Scoppiamo a ridere... "Lo vedi -mi dice- sempre più cose in comune. Facciamo un gioco, tre domande a testa, solo tre.
Su qualsiasi cosa si voglia sapere dell'altro. Solo un jolly a testa per cambiare domanda. Ci stai?"
E poi mi fissa, quegli occhi verdi mi saziano più del salmone stesso, e non riesco a rifiutare.
"Si, ci sto. Le domande saranno alternate? Dirai la verità? "
"No -replica bevendo un sorso di coca cola- puoi iniziare tu e concludere l'intera lista.
E per rispondere alla seconda domanda: certo cara!
Io...non mento guardando negli occhi... mai!"
Quell'ultima frase ha un suono così intenso che richiama di nuovo le farfalle al loro terzo atto dell'opera di oggi.
Mi faccio coraggio e gli chiedo "potrei avere qualche minuto per radunare le farfalle? Ehm, scusa volevo dire le domande?"
Mi guarda sorridendo.
"Certo! Facciamo così, finiamo di mangiare e poi si gioca! Anche allontanandoci da qua, se vuoi" Con le ultime due parole porta un pezzo di salmone alla bocca e lo accoglie risucchiandolo al suo interno. Sono diventata rossa, sento il calore che divampa sulle guance.
"Magari si, alla panchina della gelateria fa più fresco. Sto morendo di caldo qui!"
Fa un cenno affermativo e riprende a mangiare.
Concludiamo la cena, lui entra a pagare mentre io ne approfitto ad usare il bagno del locale.
Quando sto per uscire mi controllo allo specchio, ho sempre con me tutto il kit necessità.
Una spruzzata di profumo fruttato sul collo, un lavaggio rapido ai denti e una ritoccata al trucco.
Mi guardo, la maglia è un po' troppo attillata sui fianchi, il jeggins mi ingrassa un po' il culo ed ecco qua, signore e signori, che la sottoscritta torna ad essere la donna insicura.
Esco dal bagno e lui è fuori dal bar che mi attende.
Lo guardo bene, nulla! Non c'è un dettaglio in quest'uomo che mi faccia ribrezzo mentre io, ancora, non capisco cosa ci faccia qui, con me.
Mentre esco proseguo un passo avanti a lui, mi sfiora la schiena.
"Ehi, è tutto ok?"
"Si sì. Apposto."
Taglio corto, non saprei neanche come spiegargli che mi sento fuori posto, che non so cosa vuole da me, che non so cosa voglio da lui, che non so se lo odio o se mi piace.

Non so nulla!
Mi ha messo più in crisi quest'uomo in meno di dodici ore che Roberto in una vita intera.
Mi ritrovo seduta su una panchina, non so come ci sono arrivata, e non è quella della gelateria.
C'è un giardino illuminato davanti a noi e ho in mano un frappè al cioccolato.
Ma quando è successo tutto questo?
Mi volto verso Hugo, mi sta fissando mentre beve il suo frappè, poi mi bussa tre volte sulla testa.
"Macina molto là dentro eh", mi sorride. Sembra sincero.
"Eh sì, un po' troppo direi. Non si ferma.

Forza dai -gli dico incrociando le gambe sedendomi verso di lui- giochiamo "

Ti voglio vicinoWhere stories live. Discover now