𝗏𝖾𝗇𝗍𝗂𝖽𝗎𝖾.

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Stavo pensando a te - Fabri Fibra
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«Avete vinto, perché sei così affranto?», domandó Bakugo dal capo opposto del telefono, combattendo contro la sua scarpa destra che proprio non ne voleva sapere di ospitare il suo piede.
«Mio padre ha messo gli occhi su Izuku», disse solo, avvicinandosi alla maniglia dello spogliatoio, ormai vuoto.
Il biondo, in un primo momento, non sapendo esattamente che risposta dare, rimase in silenzio; e fu solo dopo lunghi secondi che chiese: «Dove sei?».
«Sto uscendo dalla palestra»
«Arrivo», disse solo, per poi riattaccare.
Shoto sospiró, si concesse qualche istante, poiché era finalmente solo, e infine uscì.
Da un lato temeva affrontare l'"esterno", perfettamente identificabile con l'identità di Midoriya Izuku; non sapeva se questi, infatti, gli sarebbe corso incontro, felice della gara appena disputata, e lo avrebbe stretto caldamente a sé o se fosse già andato via. Non sapeva in cosa sperare, ma era consapevole di aver indossato l'espressione più fredda che, raramente, aveva avuto prima di allora.
D'altro canto, invece, non vedeva l'ora di abbandonare l'edificio, incontrare il suo migliore amico e, infine, tornare alla sua dimora.

Procedette per gradi, motivo per cui, poco dopo, uscì dalla palestra e, inaspettatamente, vi trovó la figura di Bakugo, già lì ad aspettarlo.
Lo abbracció, forse ricercando conforto o perché gli era venuto spontaneo; ma fu del tutto gradito, specie perché nessuno dei due lo aveva previsto.
«Il piccoletto?», domandó immediatamente, ma Shoto fece spallucce: effettivamente non sapeva dove fosse, e fu pervaso da un eccessivo timore.
Nonostante l'aria fresca che li circondava, sentiva un fastidioso peso all'altezza del petto, un nodo alla gola, un leggero tremolio in corpo, il cuore che voleva balzargli fuori e il respiro mancante e, talvolta, affannoso. Era sempre stato "facile", per lui, pensare immediatamente al peggio, ma altrettanto non lo era convivere con quella straziante abitudine.
«Ehi, guardami, sono qui», cercava di aiutarlo l'altro, nonostante l'ansia che non mostrava per l'atteggiamento del suo amico, e l'inconsapevolezza su come comportarsi.
Venne naturale abbracciarlo ancora, prestargli la sua spalla che avrebbe potuto bagnarsi senza alcun problema e stringerlo forte.
«Andrà tutto bene», disse poi.

Passarono appena cinque minuti, ma essi parvero infiniti, ed era strano pensare che, da quel momento, era intercorso un intervallo di tempo così breve.
«Non deve fargli del male», disse, più a sé stesso che a Bakugo, stringendo i pugni.
«E se, più semplicemente, fosse a casa?»
«Era accanto a mio padre»
La mente annebbiata dalla negatività, le lacrime incessanti e copiose, quel fastidioso bruciore agli occhi, impedivano al bicolore di pensare lucidamente o, tantomeno, di considerare qualsiasi possibilità.
«Capisco», replicó ancora, estraendo dalla tasca del jeans il suo cellulare, digitando in seguito il numero di telefono del verde.
«Mh, pronto?», rispose dopo tre squilli con tono più che stupito: probabilmente non si aspettava una chiamata da parte del biondo.
«Oh, Midoriya, sei tu? Scusami, devo aver sbagliato numero», improvvisó l'altro, guardando rassicurante Todoroki che sospiró sollevato. «Certo, ci vediamo domani a scuola», concluse la chiamata per poi riattaccare, e sorrise al suo amico, forse più sereno.
«È a casa, si è scusato per avermi fatto aspettare ma stava studiando»
«Speravo di trovarlo all'uscita», disse in seguito dispiaciuto l'altro. «Ma almeno lo vedrò domani»

«Midoriya, hai visto la ragazza di Shoto, da qualche parte?», domandó Endeavor avvicinandosi al ragazzo, il quale era seduto, solitario, su una panchina, in attesa di Todoroki. Quelle parole lo colpirono come una lancia gli avrebbe trafitto il cuore, mentre il suo animo vacilló.
Quell'arma, Enji l'aveva lanciata in direzione del suo cuore ed era riuscito a colpirlo, nascondendo perfettamente la sua espressione soddisfatta.
«Non sapevo ne avesse una», ammise.
«Credevo foste amici, strano che non te l'abbia detto», continuó: in un universo parallelo sarebbe certamente diventato un attore di successo.
«Vero, che strano», commentó alzandosi e improvvisando un sorriso. «Ora, se non le dispiace, la saluto, signore»

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Where stories live. Discover now