trentuno.

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Vienna - Billy Joel
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«Possiamo parlare, Izuku?», chiese dolcemente sua madre, dietro una fintapressione serena.
Entrato in soggiorno, Midoriya aveva trovato i suoi genitori seduti al tavolo, uno di fianco all'altro, ed esprimere il terrore che in quel momento stava provando non era poi così facile.
Si accomodó di fronte a loro e, in seguito ad una successione di attimi di silenzio, finalmente proferirono parola.
«Come stai?», do mandó il padre, spiazzandolo completamente.
Si era preparato a quel momento con la convinzione di ricevere un ulteriore rimprovero, una ramanzina di lunghi minuti o un castigo lungo mesi, o una strigliata simile a quella avuta subito dopo aver messo piede in casa, eppure gli era stata posta l'unica domanda che mai si sarebbe aspettato.
«Io non- perché?», chiese a sua volta, ma senza ricevere risposta. «Come dovrei stare, secondo voi?»
«Te lo stiamo chiedendo per un motivo», intervenne la mamma, stringendo sotto al tavolo la mano del marito.
«Volete che vi dica di star bene?», domandó ancora, con un tono diverso, quasi irato.
«No, Izuku, no. Noi vogliamo solo sapere come stai davvero»

La cosa più dolorosa, in quel momento, non era la consapevolezza di star male, ma il non saperlo spiegare fino al punto di voler piangere senza mai più smettere.
«Sono stanco», disse. «Mi manca casa, i miei amici. Sto bene qui, ma non potrà mai essere casa mia»
Non riusciva a guardarli negli occhi perché era certo di averli delusi, ma d'altro canto era anche consapevole di non poterci fare nulla. In fondo, sapeva sin dall'inizio che non sarebbe mai cambiato nulla nel suo cuore.
Inoltre, dopo ciò che era accaduto con Mirio la sera precedente, aveva un motivo in più per tornare a casa e scappare.
«Perché non ce ne hai parlato?», gli afferró la mano sua madre.
«Perché è difficile, io volevo davvero venire qua e restare, ma non ci riesco», replicó con la voce tremante e gli occhi lucidi. «Volevo lasciarmi tutto alle spalle, ma non ci riesco»
«Perché?»
«Non mi va di parlarne»
«Forse sono troppo egoista, - abbassó lo sguardo - ma ho sperato venissi qui, così che saremmo potuti tornare davvero ad essere una famiglia», spiegó Inko. «Non sarà facile, ma se vorrai tornare a casa lo accetterò. Non ti costringerei mai a vivere una vita che non credi sia la tua», concluse trattenendo il pianto.
«Mi dispiace tanto», riuscì solo a dire Midoriya, ma ricevette in risposta solo un caloroso abbraccio da parte dei suoi genitori. «Noi saremo sempre una famiglia, però»
«Ti vogliamo bene, Izuku»

«Possiamo vederci? Devo parlarti»
Uno strano nodo gli si fermó all'altezza della gola in seguito alla lettura di quel messaggio di Togata.
Non poteva sfuggirgli perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto affrontarlo a scuola, davanti a tutti, e non voleva. Quel discorso sarebbe saltato fuori prima o poi, soprattutto subito dopo la fuga della sera prima.
«Non ti ruberó tanto tempo»

«Dove ci vediamo?» rispose, allora, Midoriya.

«C'è un bar che si chiama 'da Chisaki', ti va?»

«D'accordo»

Uscì di casa in fretta e furia, con la convinzione che se avesse affrontato immediatamente il problema, sarebbe stato più tranquillo dopo. E, pensandoci, si disse che forse avrebbe dovuto ragionare così anche prima di partire per l'America.
Il bar era a pochi minuti da casa sua, perciò ci mise poco tempo a raggiungerlo. Credeva di essere in anticipo, ma suo malgrado Mirio era già lì ad aspettarlo. Questi gli sorrise, ma mancó in Izuku la forza di ricambiare quel gesto. Non poteva non ripensare a quanto accaduto e provare un senso di estrema vergogna, perché fino ad appena prima di quel momento aveva creduto che le uniche labbra che avrebbe baciato in vita sua sarebbero state quelle di Shoto. Non tollerava, ora, di avere su di sé il sapore delle labbra di qualcun'altro.

«Ciao», lo salutó con un evidente rossore in viso accompagnato da un lieve cenno di mano.
Togata, invece, come sempre sorrise, ma quella volta Midoriya ebbe paura di quell'espressione.
Entrarono silenziosi nel bar e si accomodarono, e in attesa che qualcuno giungesse a prendere le ordinazioni il loro discorso cominció a prender vita. In particolare, fu il verde a rompere il ghiaccio.
«N-non ho molto tempo, cosa devi dirmi?», chiese innocente, cercando in ogni modo di sfuggire al suo sguardo.
«Volevo parlare di ieri sera»
No, ma davvero? pensó sarcastico ta sé e sé. Dentro di sé, però, non capiva cosa provasse, se fosse rabbia o semplicemente delusione, o se, ancor peggio, un miscuglio tra i due.
«Volevo scusarmi. Te ne sei andato all'improvviso e ho temuto il peggio», continuó. «Mi dispiace, Midoriya»
«Si, dispiace anche a me, non era ciò che volevo»
«Lo capisco bene, ma in quel momento è stato tutto naturale, come... voluto, capisci?», cercó ancora il suo sguardo.
Un brivido percosse la schiena di Izuku, ma era diverso da quel che provava quando era Shoto a parlare in quel modo, e cominció realmente a temere.
«No, non lo capisco, Togata, te l'ho detto»

«E lo era? Voluto, intendo», azzardó dopo un paio di minuti trascorsi interamente in silenzio.
«Non lo so», disse solo in risposta.
«Io non- non so davvero cosa dire. Non ci conosciamo, non- aah, che confusione!», esclamó.
«È vero, non ci conosciamo, ma hai presente quando incontri qualcuno e in poco tempo percepisci che c'è qualcosa che vi lega o potrebbe farlo, anche se non sai cosa?»
Una pugnalata al cuore, quella domanda. Come spiegare tali emozioni?
«Non so cosa mi sia preso, però in quel momento dentro di me qualcosa diceva di fare così, e l'ho fatto. Probabilmente si, era voluto»
La conversazione terminó lì.
C'era forse tanto, probabilmente molto altro da dire, ma in quel momento le parole erano bloccate in gola. Non seppero più cosa dirsi nonostante lo sapessero al contempo, ma riuscirono a stento a salutarsi prima di voltarsi e andar via.
Izuku pensó a quelle parole per tutta la sua camminata, e non seppe in che modo non ritrovarcisi.

Raggiunse casa, lentamente e a sguardo basso, pensando e ripensando ad ogni cosa.
Aveva conosciuto Shoto mesi e mesi prima, si sono scambiati delle lettere, si sono frequentati e si sono baciati; le cose si sono complicate, sono andati avanti e tutto è precipitato; è andato via, ha conosciuto Togata, è andato ad una festa ed è stato inaspettatamente baciato.
Lui, che non aveva mai desiderato un paio di labbra che non fossero di Todoroki, ora si ritrovava in quella scomoda posizione in cui non aveva la più pallida idea su cosa fare.
Non sapeva quando sarebbe tornato a casa, ma era certo del fatto che non sarebbe più stato lo stesso. E non sapeva se dire tutto al bicolore o far finta di niente perché 'non verrà mai a saperlo', o semplicemente lasciar scorrere e vedere cosa sarebbe accaduto.

«È vero, non ci conosciamo, ma hai presente quando incontri qualcuno e in poco tempo percepisci che c'è qualcosa che vi lega o potrebbe farlo, anche se non sai cosa?»
«Togata, mi dispiace profondamente. So cosa senti, so cosa provi e non te lo sto dicendo con superficialità.
Sono innamorato, da mesi ormai; non lo sono mai stato prima, sai? e mi ha scombussolato completamente, perché cercavo qualcosa che mi cambiasse del tutto le giornate ed è arrivato quando meno me lo sarei mai aspettato.
Si, ho presente ciò che dici, ma non posso mentirti né illuderti. Non ho sentito la stessa chimica che hai sentito tu, e non perché non voglia conoscerti, ma perché la mia testa é altrove e il mio cuore è totalmente perso.
Togata, dico davvero, mi dispiace. Non voglio che tu soffra»
Si sentiva così stupido.
Davanti allo specchio, in bagno, recitava monologhi improvvisati e l'istante dopo dimenticati, pentendosi di non aver parlato quando avrebbe potuto e dovuto. Aveva lasciato, come tutti, il suo discorso a metà e aveva perso il filo, ma non importava, perché voleva solo esternare i suoi sentimenti.
«Si chiama Shoto, ha la tua età, e non ti nego che inizialmente ho provato e sperato di ritrovare lui in te, ma senza riuscirci. Non posso sostituirlo e nessuno potrebbe mai sostituire lui. Ne sono innamorato, ed è così dannatamente, terribilmente difficile ammetterlo che quasi non riesco ad accettarlo.
È impossibile. Non devo amarlo perché non funzionerà mai tra noi. E non perché siamo diversi o qualcosa del genere, ma perché è impossibile e basta»
«E poi si sa come la società vede queste cose. Uomo e uomo, donna e donna; eppure è amore, cosa c'è di sbagliato?
Essere innamorati è così bello (certo, anche spaventoso), perché trattare l'amore come un crimine?
Mirio, forse tu puoi capirmi se sei realmente attratto da me. Puoi forse capire quanto sia difficile farsi strada tra gente che ti disprezza o che lo farebbe se scoprisse che sei 'contro natura', quanto sia difficile essere accettati, perché non tutti sono disposti a capire. E potrei continuare, ma già sai»
«Il punto del discorso, però, non era questo.
Il punto è che avrei dovuto dirti tutto ciò che sto dicendo al mio riflesso quando ho potuto, ma non sono stato in grado di prendere la situazione in mano. Le parole erano bloccate in gola, non volevo in alcun modo ferirti ma mi rendo anche conto di quanto sia inevitabile farlo.
Ti giuro, però, che ci sono tante persone al mondo, e io credo fortemente alla storia del filo rosso. Ti auguro di trovare il tuo, perché tra tutte quelle persone ce ne sono di buone, ma soprattutto c'è la tua; e perché lo meriti. Meriti di essere felice.

Scusami, davvero. Spero tu possa perdonarmi»

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Where stories live. Discover now