ventotto.

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L'universo tranne noi - Max Pezzali
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Non aveva detto a nessuno della sua partenza se non a Shoto. Aveva la sua lettera, ora bagnata di lacrime, tra le mani, mentre il veicolo proseguiva verso l'aeroporto. "L'america non sarà poi così lontana" pensó sarcastico, come a voler dire "Potrò tornare a casa quando voglio".
Se solo fosse così semplice.
Mentalmente sapeva di poter raggiungere qualsiasi posto, anche il più incerto e irraggiungibile.
Mentalmente aveva raggiunto tante volte anche l'America, e il fatto che stesse realmente per accedervi era per lui surreale.
Mancava appena un'ora, erano le quattro e voleva dormire. Era così stanco dalla serata precedente, il cui sol pensiero lo faceva sorridere e piangere al contempo, che avrebbe chiuso gli occhi per ore senza rendersi conto di ciò che lo circondava, ma due occhi eterocromatici glielo impedivano e tormentavano la sua mente. "Esci dalla mia testa" si ripeteva invano, perché non lo avrebbe mai dimenticato. E non perché lo avesse promesso a sé stesso e al ragazzo, ma perché sarebbe stato allo stesso modo impossibile, anche senza promettere nulla.

Il viaggio duró meno del previsto, o almeno fu questa l'impressione del verde. Aveva raggiunto l'aeroporto in poco tempo, e all'incirca mezz'ora dopo era già sull'aereo. Si domandava se fosse la cosa giusta, se si stesse realmente lasciando tutto alle spalle perché, in fondo, un problema irrisolto ti perseguita sempre; ce l'avrebbe fatta?

La voce di una donna posta al centro del corridoio spiegava ai passeggeri i meccanismi da utilizzare in caso di emergenza e come allacciare la cintura, e mentre Izuku la ascoltava osservava il cielo, pensando al fatto che, a distanza di qualche minuto, avrebbe contemplato le nuvole. E così fu.
Non c'era nessuno accanto a lui, anche se l'aereo, complessivamente, non era poi così pieno. Forse era anche quello il motivo per cui avevano fatto in fretta.
Fatto sta che restó incantato da quella splendida vista: amava le nuvole senza un evidente motivo; gli piaceva associarle a qualcosa grazie alle loro diverse forme, e sembravano così soffici che più volte avrebbe voluto mangiarle. Secondo lui, il loro sapore è simile a quello dello zucchero filato, con un po' di zucchero in meno.
Il cielo era azzurro e limpido, e del sole nessuna traccia. Era tutto così tranquillo da opporsi vistosamente alla piega che aveva preso la sua vita da qualche tempo. Si chiedeva se lo meritasse, se il destino esistesse e se lo stesse semplicemente preparando ad una gioia più grande, o se fosse lui l'artefice di tutto ciò che stava vivendo.
Non aveva mai dato una risposta certa a questo dubbio, ma sapeva di collocarsi al centro, perché combattuto da quelle scelte: alcune idee lo portavano ad una parte, altre verso l'altra.
Sarebbe stato un lungo viaggio, e senza accorgersene si addormentó, con la testa poggiata allo schienale e un'espressione rilassata, dietro la quale si celava una gran tempesta.
Il mare in tempesta...

La voce metallica della medesima donna, che comunicó che l'aereo stava per decollare e che ogni dispositivo elettronico sarebbe dovuto essere spento, sveglió Izuku, che balzó dal sedile. Se non avesse avuto la cintura, era certo che sarebbe caduto e che la sua faccia avrebbe perfettamente aderito al pavimento.
Si accorse solo in quel momento di aver dormito per tutto il viaggio; ricordava di aver visto le nuvole, di aver pensato allo zucchero filato, eppure in quel momento gli sembrava già tutto così lontano, come se quei piccoli dettagli non appartenessero a lui.
Il suo volto era stanco, la sua espressione annoiata, e non poté fare a meno di voltare ancora una volta lo sguardo al cielo. Le nuvole c'erano ancora, ma era già possibile intravedere l'immensità dell'America che lo lasció a bocca aperto.
Era inimmaginabile che fosse davvero lì, che quella che stava vivendo non era la vita di qualcun'altro ma la sua, eppure era giunto a destinazione, e a distanza di pochissimi minuti avrebbe 'finalmente' toccato terra.

«Mamma! Papà!”, esclamó correndo loro incontro. «Mi siete mancati tanto»
«Anche tu, tesoro. Sono successe così tante cose... devi raccontarci tutto», lo salutó sorridente sua madre.
Non era minimamente cambiata: era bella come prima, anche se i suoi capelli erano più lunghi e luminosi e i suoi occhi ancora più splendenti. Suo padre, dal canto suo, sembrava più alto, serio e composto, ma con la solita espressione paterna dipinta in volto.
Era a Boston, con i suoi genitori e una nuova vita che lo stava aspettando.
Ci volle diverso tempo prima di arrivare a casa, e durante il tragitto fu tempestato di così tante domande che era certo che prima o poi avrebbe perso il filo. Sperava con tutto sé stesso che l'argomento 'Todoroki-il-mio-caro-amico' non saltasse fuori, ma era consapevole del fatto che sarebbe successo, prima o poi. Fu grato, però, a qualsiasi divinità esistente per il fatto che il momento non fu quello.

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Where stories live. Discover now