trentacinque.

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Tornado - Frah Quintale
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«Perché la polizia?» domandò Izuku appena prima di entrare nella casa di Todoroki, il quale in risposta sorrise amaramente.

«Così non va bene!» esclamó Enji.
«Abbiamo vinto papà! Perché non sei felice?»
«Hai sbagliato tutto. Non è questo ciò che ti ho insegnato!»
Gli spettatori, seduti sugli spalti, udivano perfettamente ogni singola parola, e l'attenzione di ciascuno di loro era sui due.
«La prossima volta vedi di fare meglio e non farmi fare brutte figure»
Il figlio del campione, quello che quest'ultimo chiamava 'il prescelto', non poteva, e soprattutto non doveva sbagliare.
Sbagliare è umano, ma Shoto, per suo padre, non lo era. Aveva appena nove, giocava da tre, ed era già una macchina da guerra, programmata per fare ciò che suo padre gli ordinava. Con le buone e con le cattive. Incutendo timore.

Una mano gli si stampó immediatamente in viso.
«Ce la fai? Non ho visto una buona azione fino ad ora»
«Sono stanco, papà. Posso fermarmi? Solo cinque minuti»
«Ti fermerai quando capirai come si lavora» disse rimettendosi in posizione, pronto a ripassargli la palla. «Questo non è giocare!»
La alzó e Todoroki schiacció, oltrepassando la rete, ma facendo finire la palla nel giardino dei vicini.
«Sei un idiota» disse, non curante delle telecamere, che lui stesso aveva fatto installare, e lo riprendevano.
Ancora uno schiaffo.

Era alla centoduesima flessione e gliene mancavano esattamente novantotto.
A seguire, numerosi esercizi di cui a stento ricordava il nome e che, da quel giorno, avrebbe dovuto eseguire per mesi, finché suo padre non ne sarebbe stato soddisfatto. Portandolo ogni volta allo stremo delle forze e oltre.

Uno schiaffo, due schiaffi, tre schiaffi.
Dieci, undici e dodici.
Shoto aveva perso il conto, ed era stato sconvolgente per lui scoprire per caso che persino sua madre fosse vittima della violenza di suo padre, che, a quanto pare, non era solo verbale.
Se dal canto suo credeva di essere il sacco da box di Enji, aveva paura a dover solo immaginare a cosa provasse sua madre.
E chissà da quanto tempo.
E a quell'età, così piccolo e indifeso, non in grado di reagire, non era stato affatto facile.

Acqua bollente sul viso, gli occhi che bruciavano, che non osavano aprirsi; il rumore dei passi del padre, ormai impossibile non riconoscere; il rumore di uno schiaffo, l'ennesimo.
Shoto si tappó le orecchie, mentre le braccia di Fuyumi, sua sorella, lo avvolsero, sollevarono da terra e trascinarono via da lì.
Quando per un solo, singolo istante, i suoi occhi si aprirono, videro la donna che gli aveva messi al mondo in lacrime, con le mani sul capo in segno di difesa, e un uomo che urlava e minacciava di farle ancora del male.
«MAMMA!» riuscì solo ad urlare.

«Shoto, io non- non so che dire» commentó debolmente Izuku dopo aver udito parte dei frammenti che componevano la vita del suo ragazzo.
«Va tutto bene» gli sorrise quest'ultimo, mentendo, perché non sarebbe stato così finché non avrebbe visto suo padre dietro le sbarre, e il verde lo sapeva.
Per quanto, infatti, il bicolore tendesse a chiudersi e conservare numerose atrocità dentro di sé, Midoriya aveva imparato a conoscerlo, e riconosceva quando qualcosa non andava.
Lo abbracció, ricordandogli ancora una volta della sua presenza e di quanto fosse forte, baciandogli il capo e accarezzando quelle ciocche di capelli che ricadevano sui suoi occhi, nascondendoli.

Alla vista della polizia, Enji si irrigidì visibilmente come mai aveva fatto prima. Lui, che non temeva nulla, di fronte a tutta quella gente non sapeva come comportarsi, né come giustificarsi. Eppure, davanti a prove schiaccianti, sapeva anche lui che non poteva far nulla. La ricchezza, probabilmente, non lo avrebbe trattenuto a lungo in prigione, ma la sua immagine di campione sarebbe andata perduta per sempre, e mai, in vita sua, aveva pensato di poter raggiungere tale livello.
«Lo hai fatto davvero?»
«Si, ho sbagliato?»
«Non apprezzi niente»
«Si, invece. Ma l'unica cosa che ho sempre voluto non mi è mai stata data; e io volevo un padre. Chiedevo troppo, papà
Gli occhi dell'uomo erano lucidi, e Shoto non lo aveva mai visto piangere in tutti quegli anni. Se si stesse pentendo o meno di quanto ormai fatto, suo figlio non poteva saperlo, ma poteva affermare con certezza di aver sempre voluto una figura paterna accanto a se, che sin dalla nascita gli era stata negata, avendo conseguenze disastrose su di lui e nei suoi rapporti sociali.
Tutto ciò che aveva appreso, non sarebbe stato buttato e dimenticato, perché quello sport era e restava ciò che amava; tuttavia, era il momento di ricominciare e costruire ricordi felici.

«Ora che si fa?» domandó Shoto, afferrando entrambe le mani del verde, calde e morbide al tempo stesso.
«Siamo davvero una coppia, adesso?» domandó a sua volta.
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, - sorrise - ma si»
«E non mi terrai più fuori dalla tua vita» disse certo, guardandolo negli occhi. «Promesso?»
«Promesso»
«Allora adesso si va a casa» rispose alla domanda iniziale.

angolo di una persona bassa

non è mio solito, lo so, ma volevo solo dirvi che questa storia sta giungendo a termine. non so con esattezza quanto manchi, perché potrebbe finire con il prossimo capitolo, così come con altri dieci.
questo è cortino perché molte cose vorrei esprimerle meglio, mentre in questo credo si sia chiusa definitivamente la questione enji.

probabilmente a breve farò la playlist con tutte le canzoni della storia e ovviamente la condividerò :D

detto ciò, è quasi l'una e penso proprio che andrò a dormire. scusatemi se non è il massimo, ma purtroppo non sempre sono ispirata e mi rendo conto che potrei fare di meglio :')
viva la mia bassa autostima AHAHAH

notte bella gente <3
(o buona giornata, se è giorno :))

𝐈𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora