CAPITOLO DUE

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Siamo in mensa e stiamo aspettando di essere chiamati dai rappresentanti dei test.
Non sappiamo a cosa stiamo andando in contro, non ci si può preparare in alcun modo.
Sono l'unica in disparte da sola. Gli altri Pacifici sono seduti in cerchio sul pavimento, le altre fazioni si sono raggruppate ognuna distante dall'altra. Gli Intrepidi urlano e scherzano, i Candidi discutono, gli Eruditi parlano sicuramente di qualcosa che hanno appena letto e gli Abneganti... beh gli Abneganti non fanno niente, come al solito. Sono solo seduti.
E poi ci sono io, l'unica in piedi, appoggiata al muro. Non vedo l'ora di sentir chiamare il mio nome. Voglio andarmene da qui con una risposta alla domanda che forse assilla di più i sedicenni: «Quale fazione sceglierò?»
Più il tempo passa e più l'ansia sale. Vengono chiamati due nomi per ogni fazione alla volta. Ormai non manca tanto.
Un volontario Abnegante esce dalla porta e chiama il gruppo successivo. Quando arriva alla mia fazione dice: «Per i Pacifici: George White e Christal Bold»
Il mio cuore accelera.
Lancio un'occhiata a George, un ragazzone biondo che una volta, a circa dieci anni, ho spinto giù dal ramo di un melo. Mi sono presa una bella sgridata quel giorno.
Insieme ci avviamo verso la porta. Il sangue mi pulsa dentro le orecchie, è il momento che aspettavo, finalmente saprò qual è il mio posto in questa città.
George si stropiccia continuamente le mani sudate, a guardarlo sembra il tipico contadino che zappa la terra. Mi stupirebbe se domani non scegliesse i Pacifici.
Usciamo dalla mensa e ci ritroviamo di fronte a dieci salette in fila, divise da specchi.
Noto che gli Abneganti che sono con noi sbirciano il loro riflesso con timore, come se avessero paura che qualcuno li rimproverasse. Io invece guardo volentieri gli specchi.
Sembro meno spaventata di quello che in realtà sono. Non sono pallida, forse per via della leggera abbronzatura che hanno i Pacifici che lavorano tutto il giorno sotto il sole. I capelli sono stranamente in ordine, le lunghe ciocche mosse non sono arruffate e ricadono sulla camicetta gialla che indosso.
Mi fa piacere apparire forte e tranquilla, ma dentro sto esplodendo.
Mi avvicino alla stanza numero 3 ed entro. Qualunque cosa mi aspetti voglio rimanere come il mio riflesso.
La prima cosa che noto sono ancora gli specchi. Mi fisso di nuovo e noto una gocciolina di sudore che scende lungo la tempia destra.
Al centro della stanza si trovano un macchinario strano e una poltrona reclinabile, per niente rassicuranti.
Vicino alla macchina c'è un uomo Abnegante sulla quarantina. Ovviamente è un volontario.
Mi domando come faccia a stare in una stanza con le pareti fatte di specchi.
Ha il tipico taglio di capelli corto da Abnegante, una maglietta grigia che gli copre fin sotto al mento e dei pantaloni larghi, sempre grigi.
"Che tristezza" penso guardandolo.
«Prego accomodati» mi dice indicando la poltrona «Sono Lucas e ti somministrerò il test attitudinale»
Mi guarda fisso, senza soffermarsi sulle pareti.
Mi stendo sulla poltrona e lui mi preme degli elettrodi sulla fronte.
Cerco di respirare e di rimanere calma, so che il tutto non durerà più di dieci minuti.
Non guardo Lucas che armeggia dietro di me con la macchina, cerco di concentrarmi su un punto fisso.
Mi mette davanti alla faccia una fiala con del liquido trasparente. «Dovresti berlo» mi dice.
Vorrei chiedere cos'è, sarebbe una mia legittima curiosità, ma so che agli Abneganti la curiosità non piace e probabilmente non me lo direbbe comunque, quindi perché sprecare fiato?
Chiudo gli occhi e bevo tutto il liquido. Tossisco un po' quando mi arriva in gola, poi riapro gli occhi.

Sono sola nella mensa della scuola. Di fronte a me ci sono due cesti appoggiati su un tavolo, uno contiene un pezzo di formaggio e l'altro un coltello.
«Scegli» mi ordina una voce femminile.
Sento l'urgenza di dover ragionare. Questo è un test attitudinale, quindi sceglieranno in base alle mie "attitudini". Cosa farebbe un Pacifico adesso? Facile, prenderebbe il formaggio.
Quindi io allungo la mano verso il cesto e stringo l'impugnatura del coltello.
Nello stesso momento il formaggio scompare e sento un rumore dietro di me.
Mi giro stringendo il coltello. C'è un enorme cane acquattato pronto ad attaccare. Il suo ringhio rimbomba per tutta la stanza.
Improvvisamente capisco quello che devo fare e mi pento di non aver preso il formaggio. Non ho nessuna intenzione di uccidere il cane.
Lui si appiattisce sempre di più.
Ma lui non è lì. Non può essere lì. È solo un'allucinazione. Non c'è nessun cane nella mensa e io sono ancora stesa sulla poltrona.
Eppure sembra tutto così reale; il ringhio del cane, il freddo metallo del coltello contro il mio palmo.
Sembra, ma non lo è.
Il cane balza in avanti ma io non mi muovo.
Ho paura, ma cerco di non dimostrarlo.
Il cane rallenta, si siede di fronte a me e mi fissa. Non ringhia più, non sembra feroce.
Ma proprio mentre mi sto rassicurando, compare una bambina. Mi ricorda tanto April, una bambina Pacifica che si è affezionata a me.
Il cane la vede e ricomincia a ringhiare, in meno di un secondo è già balzato in avanti.
Anche la bambina non è reale, lo so. Ma devo salvarla.
Senza pensarci tanto lancio il coltello, ma non per uccidere. La lama si conficca sul pavimento, a pochi metri dai piedi della bambina e dal muso del cane. Quest'ultimo si immobilizza e io ho tutto il tempo di afferrarlo.
Nello stesse istante in cui tocco il pelo del cane, quello scompare. Alzo la testa e non sono più nella mensa della scuola.
Sono sul camion dei Pacifici, che sobbalza ad ogni buca del terreno.
Seduto di fianco a me c'è un Pacifico che non conosco, sta leggendo il giornale.
Volta la pagina e c'è la foto di un uomo che mi sembra familiare.
«Lo conosci?» mi chiede, prendendomi alla sprovvista.
«No.» rispondo. Non mi faccio tanti problemi a mentire.
«Se lo conosci devi dirmelo. È importante!» insiste l'uomo.
«Ti ho detto che non lo conosco» inizio a spazientirmi.
«Ma...» ricomincia l'uomo.
«Quale parte di "non lo conosco" non ti è chiara?» non alzo la voce, ma potrei tranquillamente tirargli un pugno. Sono infastidita da questa situazione e voglio solo finire il test.
L'uomo mi fissa, sembra voler dire qualcosa.
Poi si dissolve, insieme al camion e a tutte le cose intorno a me.

DIVERGENTEWhere stories live. Discover now