CAPITOLO VENTUNO

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I giorni passano lenti, così come le notti.
Cerco di dare il massimo durante le simulazioni e, per il momento, mi sembra di essere riuscita bene a mantenere il mio segreto.
L'unica cosa che continua a insospettire Quattro è la mia mancanza di terrore dentro e fuori dalle allucinazioni.
Guardando gli altri capisco perché è così sorpreso. Pochi dormono la notte da quando è iniziato il secondo modulo, e chi dorme piange o urla nel sonno.
Io vengo svegliata dai lamenti degli altri e rimango ad ascoltarli in silenzio.
Una parte di me, forse quella più Pacifica, pensa a quanto sia crudele costringere le persone ad affrontare le paure peggiori per poi lasciare che si impadroniscano della loro mente. Ma d'altra parte, se non sai controllare i tuoi incubi non ti puoi definire un vero Intrepido.
In questo senso potrei pensare di essere una vera Intrepida, ma non è così.
Mi ritrovo spesso a rimuginare, nelle notti insonne, sul mio ruolo nella nostra società.
Qui ognuno ha un fazione, un compito e quindi un futuro. Chi non rientra in una sola fazione è un pericolo per l'equilibrio della città.
Io non ci vedo niente di male ad essere sia coraggiosa, che intelligente o altro; ma nessuno sembra pensarla come me.
Non ho una fazione, non ho un compito, non ho un futuro.

Mi dirigo verso lo strapiombo, ormai è diventato il mio luogo preferito per pensare. Sono appena uscita da una simulazione tanto strana quanto inquietante. Le cose apparivano e scomparivano da sole, cambiavo luogo ad ogni passo e sembrava che il mio cervello stesse esplodendo.
«Forse un malfunzionamento del siero» aveva ipotizzato Quattro quando sono riuscita finalmente a liberarmi da quell'incubo , ma da come mi guardava era chiaro che non lo pensava davvero. Mi appoggio alla fredda ringhiera e guardo l'acqua sottostante.
Sono stata io o era davvero il siero a funzionare male? Un Divergente può cercare di opporsi alle simulazioni, oltre che manipolarle?
Non ho risposte e nessuno con cui chiedere. Posso solo fare supposizioni e aspettare.
«Christal» mi giro e trovo Eric che mi sta venendo incontro.
«Che cos'è?» chiedo indicando la lavagna che sta tenendo in mano.
«La vostra classifica, che altro?» dice alzandola, mostrandomi però il retro.
«Posso darci un'occhiata?»
«No, non si sbircia»
Lo seguo fino al dormitorio. Quando tutti ci siamo riuniti, appende la lavagna.
Cerco subito il mio nome e non ci vuole tanto a trovarlo; sono terza, con una durata media delle simulazioni di otto minuti e ventiquattro secondi. Sopra di me c'è Peter e Tris è prima.
"Divergente" penso subito guardando il tempo di Tris, due minuti e quarantacinque secondi.
Mi guardo intorno quasi timorosa, come se qualcuno avesse potuto udire il mio pensiero. Ma tutti stanno lanciando occhiatacce a Tris.
Per un momento mi viene in mente che potrebbe essere lei la persona con la quale parlare dei miei dubbi, ma decido che è meglio non rischiare e andare avanti da sola.
Guardo un'ultima volta la lavagna per cercare Al. È ultimo e, dato il suo tempo, sembra che non ci siano speranze per lui. Anche se questa volta non ci saranno eliminazioni, la prossima è fuori.
Esco dalla camerata e mi appoggio alla parete del corridoio. Voglio consolarlo senza che ci sia qualcuno in giro, così aspetto che escano tutti.
Uno alla volta, gli iniziati si dirigono verso i corridoi.
Appena uscito dalla stanza, Peter mi prende per un braccio e mi trascina in un angolo del tunnel.
«Ma cosa vuoi?» chiedo infastidita, non ho tempo di parlare con lui adesso e sicuramente i suoi modi bruschi non mi aiutano a cambiare idea.
«Come ha fatto?» chiede arrabbiato.
«Chi?»
«La Rigida! Neanche tre minuti, è impossibile!»
«Cosa vuoi che ne sappia, io?» non so se esista una certa solidarietà tra Divergenti, ma di certo non sarò io a tradire il suo segreto.
«Usa sicuramente un trucco...»
«Ti interessa così tanto?»
«Certo! Già è insopportabile essere sorpassato da una Rigida, figurati da una Rigida imbrogliona!»
«E quindi ora cosa avresti intenzione di fare?» gli chiedo incrociando le braccia.
Lui mi guarda fisso negli occhi.
«Niente.» dice, ma sta mentendo, lo vedo.
Si gira e si allontana.
«Peter, non fare stupidaggini!» gli urlo dietro. Non so perché, ma quello sguardo mi ha messo i brividi e per un momento ho rivisto Edward steso a terra con un coltello da burro conficcato nell'occhio.
Scaccio via questi pensieri e ritorno al dormitorio.
C'è solo Al che singhiozza sul suo letto. Mi siedo accanto a lui e rimango in silenzio.
Non c'è niente da dire. Non posso rassicurarlo dicendogli che andrà tutto bene perché non sarebbe vero, e lui lo sa.
Si mette a sedere, facendo scricchiolare le molle del letto.
In silenzio, gli passo il braccio dietro alla schiena. Lui appoggia la testa sulla mia spalla e ricomincia a piangere.
Lo abbraccio e lo lascio fare, a volte le parole non servono.

Socchiudo gli occhi. Sono velati dal sonno e nel buio non vedo assolutamente niente.
È stato un lamento di Will a svegliarmi, come quasi tutte le notti.
Sto subito per riaddormentarmi.
La camerata è tornata silenziosa, troppo in effetti.
Manca qualcosa ai respiri e ai rumori delle molle.
Manca il pianto di Al.
Voglio alzarmi per assicurarmi che sia nel suo letto, ma sono più addormentata che sveglia.
In un attimo, la mia preoccupazione lascia il posto ai sogni.

DIVERGENTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora