CAPITOLO VENTIQUATTRO

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È una sera come le altre per tutti gli Intrepidi. Affollano il Pozzo, chiacchierano, urlano, corrono e sembrano spensierati.
Io guardo la scena distante, come se tutto questo non mi riguardasse, come se non fossi davvero qui ad assistere alla loro felicità.
Mi sembra di non poter resistere un minuto di più tra quelle mura così piene di vita; devo fare qualcosa per distrarmi.
Riprendo a camminare, come ho sempre fatto quando Al era vivo e come facevo anche prima di incontrarlo. Una volta camminavo sui prati morbidi o sulla terra smossa, mentre ora il pavimento duro mi da quasi fastidio ai piedi.
Mi dirigo meccanicamente verso lo strapiombo. Neanche tanto tempo fa ammiravo la sua potenza mortale, adesso lo vedo come un luogo quasi maledetto.
Il rumore dell'acqua mi fa rabbrividire mentre mi avvicino.
Chissà cosa pensava Al quella notte quando si è avvicinato.
Sono persa tra i miei pensieri e quasi non noto la figura seduta sulla ringhiera dello strapiombo.
«Christal» Peter richiama la mia attenzione. In questo preciso istante è l'ultima persona con la quale vorrei parlare.
«Ti prego, dimmi che hai deciso di buttarti» dico con voce piatta, senza emozioni.
«In realtà volevo parlarti...»
«Non è una buona idea.»
«Mi stai odiando per qualcosa che non ho fatto»
«Io ho tutte le ragioni di questo mondo per odiarti!» mi sembra di esplodere. Da quando Al è morto sento un peso sullo stomaco e ora ho l'occasione di liberarmene.
«Non sono...»
«Tu usi le persone senza preoccuparti delle conseguenze! Sei crudele e vigliacco!»
«Christal, non l'ho ucciso io» mi sorprendo nel constatare che più la mia voce cresce, più la sua si abbassa.
«Non materialmente, ma lo hai spinto a fare qualcosa che lo ha distrutto!»
Mi fissa senza dire niente, fa venire ancora più rabbia.
«Quindi è colpa tua!» sentenzio. Sputare fuori queste parole mi fa sentire meglio, spero che non sia solo un sollievo temporaneo.
«E adesso? Vuoi vendicare Al, magari spingendomi giù?» stacca le mani dalla ringhiera e le alza, rimanendo seduto in bilico.
Mi sta sfidando, si sta prendendo gioco di me, ma purtroppo per lui oggi non è il giorno giusto per provocarmi.
Scatto in avanti senza pensarci due volte. Le mie mani afferrano il colletto della sua maglia e lo spingo nel vuoto.
Se la mia parte istintiva fino a qui ha prevalso, in qualche luogo in profondità quella razionale mi dice di non lasciarlo.
Peter si aggrappa alle mie braccia mentre io lo tengo stretto per la maglietta.
Non se lo aspettava, si vede dalla sua faccia; un misto tra il sorpreso e il terrorizzato.
La sua vita è letteralmente nelle mie mani, e la cosa peggiore è che sono indecisa sul da farsi.
Per un momento mi dimentico di Peter e guardo l'acqua che scorre con violenza sotto di noi.
È quello che ha visto Al prima di buttarsi. Forse avrà chiuso gli occhi quando è arrivato a questo punto.
Mi sento tradita.
Come ha potuto farlo?
Non ha pensato ai suoi genitori o a me prima di buttarsi?
Evidentemente no.
Ad Al non piaceva questo posto, lui non voleva diventare come loro, e neanch'io lo voglio.
Le braccia iniziano a tremarmi per lo sforzo. Peter è rimasto in silenzio, probabilmente pensa che una parola sbagliata possa segnare la sua fine.
Senza aspettare oltre, lo tiro verso di me, al sicuro lontano dal vuoto.
Lui si aggiusta la maglia cercando di sembrare tranquillo, ma percepisco il suo respiro affannoso.
«Non farlo mai più» dico indietreggiando di qualche passo «Non provocarmi mai più»
«Penso che tu mi abbia convinto...»
Mi volto per andarmene, ma lui mi trattiene per un braccio.
«Christal, io l'ho sempre lasciato in pace. Non è colpa mia se era così depresso»
«Lo so» sussurro.
Ha ragione, quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Eppure era così liberatorio dare a lui la colpa di tutto.
«Ho sbagliato, non dovevo fare quello che ho fatto. Faccio tante cose stupide, ma non avrei mai voluto questo.»
Lo guardo negli occhi. Sta mentendo? Non sembra, ma dopotutto lui è il Candido più bugiardo nella storia delle fazioni.
«Mi dispiace tanto che tu stia male»
«Sto bene, non sono io quella che non respira più» dico freddamente. Non sopporto quando gli altri credono di sapere come mi sento.
«Posso andare o hai altro da dirmi?» aggiungo liberandomi dalla sua presa.
«Ti interessa quello che sto per dire?»
«No.»
«Allora ho finito»
«Bene.»
Peter mi supera e se ne va, lasciandomi da sola sullo strapiombo.
Ora che il peso allo stomaco non c'è più sento un vuoto enorme.
Forse Peter ha ragione, forse non sto bene, ma di certo non lo ammetterò.

DIVERGENTEWhere stories live. Discover now