CAPITOLO DICIOTTO

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Ho la schiena appoggiata alla parete del corridoio e cerco di rimanere tranquilla.
Il secondo modulo è iniziato ma nessuno sa a cosa andremo incontro. Mi sento un po' come il giorno del test attitudinale; siamo tutti qui che aspettiamo, interni ed esterni insieme, senza avere la minima idea di cosa ci aspetta oltre la porta.
Quattro ci chiama uno alla volta, facendo salire la tensione ogni volta che si presenta nel corridoio.
Alcuni parlano, altri sono concentrati. Gli interni mi sembrano degli sbruffoni.
«Christal» Quattro mi chiama dopo il terzo interno.
Appena entro nella stanza vedo una poltrona reclinabile come quella del test attitudinale, con la sola differenza che questa è in metallo. Accanto ad essa c'è lo stesso macchinario dell'ultima volta.
Il panico mi assale all'improvviso.
È così che Lucas ha scoperto che sono Divergente.
Quattro mi ordina di sedermi e io obbedisco.
Respiro profondamente e cerco di calmarmi.
«Puoi spiegarmi cosa sto per fare?» chiedo a Quattro.
«Ora ti inietterò un siero che ti farà entrare in una simulazione. In questa simulazione le allucinazioni saranno incentrate sulle tue paure. Io potrò vedere tutto sul monitor» indica un computer su un tavolo nell'angolo.
«E io cosa devo fare?»
«Devi essere coraggiosa» mi infila un lungo ago nel collo e mi inietta del liquido arancione.
«La simulazione finirà solo quando ti sarai calmata. Tieni controllato il battito cardiaco e il respiro» mi informa.
Prima che il siero faccia effetto cerco di pensare alle mie paure e a cosa potrebbe presentarsi nella simulazione, ma ormai è troppo tardi.

La brezza del frutteto e il suo profumo mi inebria. Rimango per un attimo a godermi il momento, poi mi ricordo che sono sotto simulazione.
Mi guardo attorno, aspettandomi di trovare qualcosa di spaventoso, invece non c'è niente.
Inizio a muovermi tra gli alberi come ho sempre fatto. Percorro la strada che porta alla serra, ma, una volta arrivata al limite del frutteto, trovo un enorme albero a sbarrarmi la strada. Sono sicurissima che quell'albero non c'è mai stato.
Torno indietro ma la strada mi sembra cambiata, è sempre famigliare ma non ha la direzione che ricordavo.
Mi ritrovo al punto di partenza, allora imbocco la stradina opposta. Verso la fine mi ritrovo un altro grosso albero che mi blocca.
Il cuore comincia ad accelerare.
Perché non riesco ad uscire?
Torno indietro ma gli alberi si fanno sempre più fitti e i rami arrivano a coprire il cielo, facendo diventare tutto buio.
Il respiro si fa affannoso.
Non riesco più ad orientarmi. Continuo a camminare e mi ritrovo sempre nello stesso punto, ogni volta più stretto e buio.
La calma mi abbandona e inizio a correre. Non riesco a vedere dove sto andando ma spero in uno spiraglio di luce, un punto dove gli alberi si diradano.
Niente.
Il buio è talmente fitto che non riesco più a distinguere la destra dalla sinistra, il sopra dal sotto.
È tutto una massa informe di nulla.
Il cuore mi batte all'impazzata.
Come faccio ad uscire da qui?
Devo calmarmi, ecco come.
È una simulazione e io ne devo venire fuori con l'intelligenza.
Il buio attorno a me non riuscirà mai a calmarmi, devo trovare la luce.
Avanzo a tentoni e tasto un albero. Ha una corteccia forte e robusta.
Salto più in alto che posso alla ceca e le mia dita sfiorano un ramo, se è abbastanza basso potrei riuscire a salirci. Mi arrampico con tutta la forza che ho alla corteccia, graffiandomi i palmi delle mani. Mi dò la spinta e mi aggrappo al ramo.
Sono grata di aver fatto più muscoli sulle braccia.
Mi isso stando attenta che il ramo possa reggermi.
Continuo così andando sempre più su, fino a quando non riesco a vedere il cielo tra le foglie.
Finalmente arrivo in cima all'albero, al di sopra del frutteto.
Respiro a fondo l'aria pulita, il cielo è limpido e si vedono i campi e le case dei Pacifici. Sono davvero in alto ma non è un problema visto che non dovrò scendere; mi basterà aspettare qui, ammirando la mia ormai ex fazione.
Il battito cardiaco rallenta, chiudo gli occhi e regolo il respiro. Quando li riapro è svanito tutto.

Sono stesa sulla poltrona e Quattro è di fianco a me.
Mi tramano le mani e sono sudate. Faccio un bel respiro e mi metto a sedere.
«Sei andata bene» dice Quattro «Hai controllato la tua paura e ne sei uscita in poco meno di dieci minuti, è un buon risultato»
«Bene» mi sforzo di sorridere.
«Hai davvero paura di rimanere intrappolata in un luogo, senza riuscire più ad orientarti?» indaga. Mi chiedo perché lo stia facendo.
«Diciamo che se mi trovassi veramente in una situazione del genere non rimarrei tranquilla»
«Spesso le allucinazioni delle simulazioni non mostrano la vera paura» mi spiega.
Mi alzo e sono contenta di trovare un paio di gambe ben ferme a sorreggermi.
Amo sembrare forte anche quando non lo sono.
«Visto che stai bene puoi andare» Quattro sembra un po' sorpreso nel vedermi in piedi, senza nemmeno tremare.
Ma spesso l'apparenza inganna.

DIVERGENTEWhere stories live. Discover now