CAPITOLO VENTICINQUE

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Attraverso il Pozzo lentamente, con aria un po' indecisa.
Non sono completamente sicura dalle mia scelta, ma ho deciso di farlo e basta, è inutile aspettare oltre per una cosa del genere.
Arrivo allo studio del tatuatore e gironzolo curiosa al suo interno, guardando le opere appese alle pareti e temporeggiando il più possibile.
Mi sento un po' come a casa, tra i Pacifici l'arte è importante nella vita quotidiana; tutti hanno almeno una piccola scultura o un quadretto in una camera.
«Sono Tori, cosa posso fare per te?» mi chiede la tatuatrice avvicinandosi.
«Vorrei un tatuaggio sul polso»
«Perfetto».

Rientro al dormitorio osservando il mio primo tatuaggio. È una piccola fenice sul polso sinistro. Guardo le sue ali dispiegate e mi sento stupida ad essere stata così ansiosa per un piccolo disegno sulla mia pelle; avevo paura che alla fine non mi piacesse, invece lo trovo bellissimo.
Alzo lo sguardo e trovo Peter seduto sul suo letto, sbuffo nel constatare che siamo di nuovo soli.
«Ciao» mi saluta, sembra un po' insicuro.
«Mi stai perseguitando?»
«Ti stavo aspettando»
«Senti...» incomincio spazientita, ma lui mi blocca.
«Mi dispiace per quello che è successo allo strapiombo, non avrei mai dovuto provocarti»
Mi metto a ridere sarcasticamente. Dopo quello che è successo, le sue scuse sono davvero fuori luogo.
«Visto che ci tieni tanto a farmi sprecare parte del mio prezioso tempo con te, vieni»
Mi avvio lungo il corridoio, verso il passaggio stretto, apro la porta poi su per le scale e poi un'altra porta.
L'aria è fredda e il cielo è scuro, timidi raggi di sole cercano di fare capolino tra le nuvole.
«Perché mi hai portato qui su?» mi chiede sorridendo.
«Se proprio mi devi parlare, lo facciamo dove voglio io.»
Mi avvio verso il bordo del tetto e mi siedo con le gambe a penzoloni nel vuoto.
«Accomodati» scopro con piacere come mi senta a mio agio a fare paura a qualcuno, soprattutto a Peter.
«Penso che starò meglio in piedi»
«Insisto»
Si siede vicino a me, ma tenendosi comunque a distanza di sicurezza dal vuoto.
Gli rivolgo un sorriso di sfida soddisfatta, l'ho decisamente traumatizzato.
«La mia voleva solo essere una chiacchierata il più possibile amichevole, non un suicidio»
«Peter, avvicinarsi a me è un suicidio, ma a te non sembra importartene»
Mi vengono in mente i Pacifici e come mi evitavano accuratamente, additandomi a distanza. Improvvisamente mi rendo conto che è bello avere qualcuno che ti vuole stare vicino.
«E comunque parli decisamente troppo, non tutti hanno bisogno di parlare» aggiungo velocemente.
«Se non vuoi parlare, possiamo rimanere in silenzio...»
«A certa gente piace rimanere in silenzio da sola»
«Gli piace davvero o semplicemente si è abituata così?»
Guardo la città sottostante, le strade per lo più vuote, gli edifici che si differenziano molto tra loro a seconda delle zone, l'alta recinzione che si staglia contro il cielo e mi impedisce di ammirare i campi.
«Che differenza fa? A nessuno importa davvero»
«Ad alcune persone importa, a me per esempio importa»
«Ti importa solo di me a quanto pare»
«Forse...»
«Non è esattamente una bella cosa»
«Ma è già qualcosa»
Mi volto verso di lui. Non riesco a capire se sono più lusingata dalle sue attenzioni o infastidita dalla sua invadenza.
Peter si avvicina un po' al bordo e guarda giù.
«Mi dispiace di averti quasi ucciso.»
Lui alza gli occhi su di me e sorride.
«Ti dispiace davvero?»
«Si... Insomma, sei un cretino ma non meriti di morire»
«Penso che questa sia la cosa più bella che tu mi abbia mai detto da quando ci conosciamo»
«Già, non ti ci abituare» Peter ride e anch'io accenno ad un primo, vero sorriso dopo la morte di Al.
«E quello cos'è?» domanda indicando il mio polso sinistro.
«È una fenice»
«Posso vederla?» chiede titubante, io annuisco e lui mi prende delicatamente il polso. Mentre guarda con attenzione il tatuaggio fa scorrere il pollice sulla mia pelle; un brivido mi scorre lungo la schiena e improvvisamente mi rendo conto di quanto mi senta in imbarazzo.
«È stupendo»
«Grazie»
«Se ti chiedo il significato mi butti giù dal tetto?»
«Probabilmente»
«Allora non insito» mi lascia la mano e io gliene sono grata.
Non sono una persona molto incline ad esternare le proprie emozioni e i propri pensieri e penso che Peter lo abbia capito.
Mentre guardiamo in silenzio la città mi tornano alla mente le parole di Johanna la sera prima che cambiassi fazioni: "Mi auguro che tu possa trovare la pace in te stessa".
Essere in pace ora mi sembra una cosa così impossibile che non capisco come facciano a vivere i Pacifici, sono staccata da loro più che mai.
Dovrei iniziare anch'io a perdonare di più la gente?
Lancio un'occhiata a Peter.
Per cosa lo dovrei perdonare? Dopotutto lui è stato l'unico a preoccuparsi di me dopo la morte di Al e a me personalmente non ha mai fatto niente. Ma si è dimostrato comunque un verme verso gli altri, o è solo paura la sua?
Respiro profondamente.
Troppo complicato, questo ragazzo.

DIVERGENTEDonde viven las historias. Descúbrelo ahora