Capitolo 33.

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Non capisco cosa sia successo

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Non capisco cosa sia successo.

Un secondo prima mi stavo godendo le migliori sensazioni provate dopo un orgasmo, lo sguardo incastrato nelle iridi scure di Aaron, la mano appoggiata sul suo viso e un senso di calore che avvolgeva il mio intero corpo; quello dopo, mi ritrovo a osservare la sua schiena.

Resto paralizzata sul letto, un senso di vuoto e di inadeguatezza che si fa largo in me, e da cui per qualche istante mi lascio avvolgere. Mi ci crogiolo, chiedendomi cosa sia successo per farlo scappare a questo modo, ma poi scatto, quando mi rendo conto che non può essere stato tutto un errore. Ancora nuda, percorro il corridoio in direzione della sua camera, con la speranza che non se ne sia andato del tutto.

Non lo capisco. Aaron è un rebus a cui non so trovare una soluzione, ma adesso fatico a pensare che sia tutto nella mia testa, non posso aver frainteso ogni cosa. Lui mi vuole, mi desidera, solo che c'è qualcosa nel suo cervello bacato, qualche pensiero contorto, che lo porta a comportarsi così.

È ora delle spiegazioni.

Me lo ripeto come un mantra, mentre entro in camera sua, che si rivela essere completamente deserta, ma sento in maniera nitida l'acqua della doccia che scroscia. La porta del bagno è semi aperta e mi ci intrufolo senza nemmeno il bisogno di spalancarla: è enorme, interamente ricoperto di marmo e la doccia trasparente è quella che cattura lo sguardo.

Be', non solo lei, ma anche chi la sta occupando in questo momento: Aaron è nudo, le gambe divaricate, il sedere sodo in bella vista e ho la possibilità di ammirare la sua schiena scolpita senza traccia di rimorso; delle cicatrici la percorrono, ma non mi impediscono di trovarlo bellissimo. Tutti i buoni propositi di ottenere delle risposte se ne vanno, insieme all'acqua che scivola via dal suo corpo.

Mi avvicino e mi rendo conto che ha la fronte appoggiata al muro, gli occhi chiusi.

«Aaron?» mi stupisco di come mi risulti semplice chiamarlo per nome, quando l'ho sempre e solo conosciuto come Rev. È che mi sembra più adatto a lui, all'uomo che ho davanti e che non vedo l'ora di scoprire.

«Vattene,» la sua voce rimbomba nelle pareti della doccia e ci leggo un tormento che non riesco a capire.

Se ne sta pentendo?

È il primo pensiero che mi affolla la testa e mi blocca sul posto, a qualche metro da lui. Come può pentirsi, quando a me è sembrata una delle cose più giuste che mi sia successa nella vita? Ma soprattutto, perché, dovrebbe sentirsi in colpa? Non ha senso!

Stringo i pugni lungo i fianchi, la tenacia che mi scorre nelle vene e che mi porta a entrare nella doccia insieme a lui, facendomi ricoprire il corpo da mille brividi. Mi rendo subito conto che l'acqua è fredda, anzi, gelata, senza nemmeno entrarvi in contatto e non riesco a capire come possa rimanere impassibile sotto il getto. Mi allungo verso il miscelatore per spostarlo, ma mi blocco, una scarica di piacere che mi attraversa il corpo.

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