Epilogo.

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Un mese dopo

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Un mese dopo. Circa.

Di cazzate penso di non averne fatte molte nella mia vita, ma di sicuro andare a New Orleans è in cima alla lista. Non solo perché ne sono uscita distrutta, moralmente a pezzi, ma anche perché...

Non riesco nemmeno a pensarlo.

Osservo l'oggetto sul tavolo e sospiro. Sono stata un'idiota, su tutti i fronti possibili e non serve a niente la scusa che io quando c'è Aaron di mezzo non ragiono, avrei dovuto farlo comunque, aggrapparmi agli anni di solitudine, all'abbandono, alla sofferenza, invece adesso...

Oh, merda.

È stato un mese orrendo, fatto di pochi alti e tantissimi bassi, tanto che fatico a ricordare un singolo istante in cui sono riuscita a sorridere. Forse, l'ultimo momento in cui l'ho fatto è stato proprio tra le braccia di Aaron.

Oh, ma vaffanculo.

Mi asciugo una lacrima solitaria e guardo in alto, cercando di scacciare le altre che sono pronte a scendere. Non devo farlo, non posso, qualcuno potrebbe entrare da un momento all'altro e non saprei come giustificare il mio stato pietoso.

Capisco che con Aaron è finita davvero perché adesso non riesco più a trattenere il pianto, solo che è peggio di quanto pensassi, perché gli otto anni di attesa sono stati semplicemente un concentrato d'istanti accatastati l'uno sull'altro che mi hanno portato ad accrescere la mia illusione. Perché non importa quanto mi sia ripetuta che non ci ho mai sperato, non è la verità e me ne sto rendendo conto adesso che finalmente ho capito che lui ha chiuso da un pezzo.

E fa un cazzo di male.

A scoppio ritardato, condito d'interessi e brucia.

Ancora di più, se guardo quello stupido oggetto che ho sulla scrivania.

Dovrei toglierlo di mezzo, ma sto aspettando che arrivi Lucy e che provi a prendere in mano le redini della situazione, perché io, in questo momento, non riesco a pensare che a una singola soluzione.

Sono nel mio ufficio, in un palazzo di mia proprietà su cui campeggia la scritta Enterprise, qui hanno sede tutti gli affari che conduco, quelli puliti e quelli un po' più loschi, e mi permette di destare meno sospetti possibili. Vivo più qua che a casa mia, soprattutto nell'ultimo periodo, perché stare in quella casa fa ancora più male del solito. Metto in dubbio i miei stessi ricordi e vedermi felice non mi aiuta a stare meglio.

Gestisco il The Church e il Momalix, il locale diurno, come se fossero i miei piccoli bambini e mi occupo anche di beneficenza e opere di bene. Forse un modo per ripulirmi ulteriormente la coscienza, non lo so, ma i soldi non mi mancano e mi sembra sbagliato non contribuire ad aiutare il prossimo.

Sarò anche stata destinata a questo mondo, ma non mi dimentico di chi sono, da dove vengo e quello che conta davvero. Non ho mai pensato a me come una pessima persona solo perché sono a capo di un clan che spaccia e ricicla denaro, non ho comunque mai perso la mia identità.

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