Capitolo 1: Un cielo grigio di fumo (Revisionato)

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Un anno prima


Sgargianti fasci luminosi squarciarono il buio della camera in cui avevo passato la notte, spandendo luce indesiderata sulle pareti. Le persiane erano sudicie, logore e in parte distrutte dalle intemperie della vita, incapaci di adempiere appieno al loro stramaledetto compito. Quella loro mancanza mi ricordò molto la mia, di vita, come in parte la mia palese impossibilità di filtrare il presente.

Quei raggi di sole preannunciarono l'inizio di una giornata a cui non avrei voluto partecipare.

Faticai a staccare la lingua dal palato, esibendo una smorfia una volta saggiata la mia bocca. Le mie labbra si arricciarono non appena mi venne in mente il sapore della tequila che avevo ingurgitato solo la sera precedente. Risvegliarsi in un motel era stata quasi del tutto una sorpresa, per me: l'unica cosa che ricordavo era di aver bevuto troppo.

Mi alzai faticosamente, senza soffermare lo sguardo su nulla di ciò che mi si parava davanti. Avevo male dappertutto, la luce era troppo forte e dai miei occhi partì una fitta di dolore che si irradiò in tutto il cervello. Gemetti, prendendomi la testa tra le mani.

Il mio stomaco era chiuso a pugno e dubitavo di voler bere ancora in vita mia. Lo dicevano tutti dopo una sbronza colossale, quindi non lo pensai con molta convinzione.

Mi avviai verso ciò che mi sembrava un angusto ma funzionale bagno e ci entrai; dentro di esso aleggiava un leggero olezzo di urina. Mi venne da vomitare, ma riuscii a evitarlo. Mi appoggiai al lavabo, sobbalzando appena vidi la mia figura allo specchio. Avevo immaginato che quella notte sarebbe stata davvero terribile, ma non avrei mai potuto considerare che, una volta finita, il mio viso ne sarebbe uscito tanto devastato.

Presi della carta igienica e ne avvolsi un po' sull'indice, tentando di pulirmi gli occhi da tutto il trucco sbavato che imbrattava gran parte del mio viso, ma sembrava un lavoro del tutto inutile. Le iridi grigie erano cerchiate di rosso e risultavano gonfie, trasmettendo una grande malinconia. Le guance, invece, erano scialbe, il colorito pallido come se il sangue avesse definitivamente smesso di circolare.

Non sembravo nemmeno io.

Mi lavai la faccia con il sapone e i denti con lo spazzolino usa e getta che avevo trovato chiuso in una busta di plastica. Mi ravviai i capelli neri, cercando di donar loro una parvenza di ordine e uscii dal bagno.

Avanzando nella camera richiusi la porta alle mie spalle e inspirai forte dal naso, percependo un leggero odore di tabacco stantio mischiato a deodorante per ambienti alla vaniglia. Nauseante. Allora mi soffermai lievemente sull'ambiente circostante, scandagliando con sguardo indignato le infinitesimali macchioline di dubbia provenienza che ricoprivano il materasso. Appuntai mentalmente di dover bruciare i miei vestiti e farmi una doccia il prima possibile, rendendomi conto di indossare ancora i panni della sera precedente.

Guardandomi intorno, ebbi l'inequivocabile certezza di aver dato il meglio di me, quella notte.

Feci qualche passo in avanti e notai una figura indistinta sdraiata a terra. Beh, a dire il vero notai un sedere, poi un paio di gambe nude e infine una testolina bionda.

«Alexis?» la chiamai, capendo di chi si trattasse e voltandomi per osservare il disastro che avevamo combinato. Le lenzuola e le coperte erano a terra, il letto risultava sprovvisto di cuscini e quelli che sembravano i pantaloni di jeans della mia amica coprivano un abatjour di ceramica – lungi da me immaginare come avesse fatto a non rompersi.

Avremmo dovuto sistemare la camera prima di andare.

Mi portai le mani alle tempie, massaggiandomele. Avevo un martello pneumatico impiantato nel cranio che ogni secondo scavava sempre più in profondità. La gola bruciava e mi doleva nemmeno avessi ingoiato direttamente una fiamma ossidrica.

Utrem Humano SanguineWhere stories live. Discover now