Capitolo 8: Spiegazioni (Revisionato, parte 2)

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Mentre svoltavo l'angolo, riuscii a vedere la mia abitazione in lontananza. Assottigliai lo sguardo, perché c'era qualcosa che non andava in casa mia: del denso fumo nero fuoriusciva dalla finestra della cucina. Era troppo fumo per pensare che non fosse qualcosa di serio. Aumentai il passo e mi ritrovai a correre come una forsennata sul marciapiede umido. Non riuscivo a connettere, a pensare, a respirare... sentivo solo il battito del mio cuore nelle orecchie. Il buio aveva ingoiato gran parte delle case nei dintorni, chiuse in un silenzio spettrale, estraniate da ciò che stava capitando alla mia abitazione. Alzai gli occhi al cielo e lo vidi. Fuoco. Tanto, tanto fuoco. Rosso, arancione, giallo. Incorporee e grosse fiamme guizzanti venivano alimentate dal vento che le spingeva verso l'alto, abbagliando il cielo notturno e conferendogli un aspetto innaturale. Un aspetto irreale...

Irreale. Era questo che stavo vedendo, qualcosa di irreale. Era un'allucinazione? Doveva esserlo per forza. Non poteva essere la mia casa quella immersa dalla fiamme, dal fumo tossico che anneriva ogni cosa sotto la luce lunare.

No...

Aprii il cancello che le mani che mi tremavano, salii le scale e, quando arrivai alla porta d'ingresso, mi bloccai. Era scardinata. Mi avvicinai lentamente. Quella che avrebbe dovuto essere una scena immaginaria, non sembrava svanire. Mi ero lanciata contro di essa quasi convinta che nel momento in cui l'avessi raggiunta ella si sarebbe volatilizzata, come un brutto sogno. E invece era lì. Bruciava i miei occhi come un gas velenoso. Sentii una morsa stringermi il cuore. Avevo già immaginato la scena: io che entravo dalla porta di casa sua come un'ossessa, mentre la nonna Clara mi attendeva sveglia nel salottino... per darmi la solita strigliata di capo. Ma quando arrivai sulla soglia i miei sogni si infransero: invece di Clara, mi accolse un vento afoso e ardente che mi investì con una velocità tale da togliermi il respiro. Chiusi gli occhi talmente tanto forte da far fuoriuscire copiose lacrime che erano rimaste annidate per tutto il tragitto. Entrai, non solo nella mia dimora, ma anche in uno stato catatonico che mi rendeva poco lucida. L'aria bruciava e il fumo nero era talmente denso da annebbiami la vista. Faticai a respirare e i polmoni si riempirono di quella sostanza densa e asfissiante. Mi incominciò a girare la testa. Tossii. Attraverso le mie ciglia bagnate, riuscii a scorgere delle immagini: oggetti a terra, vetri rotti, divani squarciati. Ogni cosa stava lentamente appassendo. Il fuoco danzava, accarezzava gli oggetti con movimenti quasi ipnotici trasformando tutto in cenere e carbone. Il fumo nero saliva lento sul soffitto e si incanalava minaccioso nelle insenature circostanti. Lo fissa incantata, poi notai qualcosa di scuro imbrattare il pavimento... sangue. Dio, sangue ovunque. Chiusi ancora gli occhi, questa volta non per il bruciore ma per schiarirsi la vista. Qualcosa che non seppi riconoscere era adagiato sul pavimento. Aveva la forma di... un corpo carbonizzato. Lo guardai per interminabili secondi. Era lei? Era la nonna? Le gambe mi cedettero e caddi in ginocchio emettendo versi strazianti e singhiozzi disperati; avanzai carponi verso quel corpo indistinto e sfocato che sperai con tutti il cuore non fosse reale. Più desideravo che la realtà non fosse reale e più avevo la consapevolezza di voler vivere nel mio mondo immaginario, pieno di mostri invisibili e di creature della notte. Ma non potevo negare ciò che tutto il corpo stava percependo. La perdita era reale. Il cuore mi stava per collassare dentro il petto e il mio corpo rifiutava i comandi della mia mente. Stesi un braccio tremante cercando di toccarlo, cercando di capire chi o cosa fosse. Ma una mano, molto più decisa e fulminea, entrò nella traiettoria della mia visuale cingendomi le dita protese e tirandomele con forza. Mi sentii sollevare da una braccia forti.

«No!» gridai. A stento riconobbi la mia voce. «Lasciami! No!»

Sentii una morsa stringermi in vita che cercava di trattenermi. Mi dimenai, calciai, urlai. Tra tutti i pugni e i calci, uno probabilmente andò a segno poiché ripresi la libertà di movimento. Mi voltai e vidi Dimitri che si asciugava velocemente un rivolo di sangue caldo che colò dal suo labbro. «Dobbiamo andare» disse sbrigativo, prendendomi la mano. La sua imperturbabilità era davvero intramontabile. Opposi resistenza.

Utrem Humano SanguineWhere stories live. Discover now