Capitolo 10: La scelta (Reviosinato, parte 2)

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La giornata passò lenta ma con meno disperazione; certo, il commento di Dimitri mi aveva lasciata a dir poco sconvolta, ma tra le varie cose successe in quegli interminabili giorni di completa follia, non era nulla a confronto.

Doveva pur esserci una soluzione!

Ma come potevo combattere una forza tanto estranea e inarrestabile? Ripensai alla nonna, al corpo carbonizzato, al fatto che probabilmente era per colpa mia se fosse morta in quel modo orribile. Non avevo potuto fare niente. Ricordavo ancora la sensazione di impotenza davanti alla scena. Ancora, ancora. E poi... i maledetti "e se". E se fossi arrivata in tempo? E se ci fossi stata io in casa al posto suo? E se non fossi uscita quella sera? Cosa sarebbe successo?

Ripensai all'incendio. Il fuoco. Perché il fuoco? Se stavano realmente cercando qualcosa in casa mia, perché appiccare un incendio? A meno che...

Sentii bussare alla porta. Mi alzai dal letto e vidi Celina entrare tutta impettita.

«Tra poco si cena» mi informò sbrigativa. Il tono esigente non lasciava spazio a un mio rifiuto. Mi scandagliò da cima a fondo, esibendo una smorfia di disgusto. Probabilmente perché gli abiti che indossavo erano i suoi. Quello, oppure c'era un enorme insetto che mi strisciava addosso.

Si voltò di scatto e uscì con la stessa medesima altezzosità. Come potesse essere la figlia di Rachel restava un mistero, evidentemente aveva preso la simpatia di Marcus e solo l'aspetto della madre.

Presi gli abiti che mi aveva portato Dimitri poche ore prima, apostrofando Celina con simpatici appellativi. Andai in bagno, contiguo alla sua camera da letto, e li indossai. Erano stretti, ma non me la sentivo di lamentarmi. In fondo, avevo un tetto sulla testa e dei vestiti addosso, tante persone non erano così fortunate. Dovevo vederla così per non demoralizzarmi.

Uscii dalla porta che Celina aveva lasciato aperta e mi diressi verso la sala da pranzo. Non pensai nemmeno per un secondo di scappare da quella casa, anche se non era piacevole convivere con persone che, volenti o nolenti, mi avrebbero fatta fuori nel momento in cui avessi fatto dei danni; ma, la cosa che più mi spaventava, era proprio il fatto che, se fossi scappata, il demone avrebbe potuto impossessarsi di me ancora una volta per uccidere altre persone. No, non lo avrei sopportato. Non di nuovo. Lì, almeno, sarei stata sotto stretto controllo e il demone non si sarebbe manifestato. Anche volendo scappare la villa White era come un labirinto, dentro e fuori, probabilmente dotato di numerosi allarmi e telecamere. Non avrei fatto un metro senza ritrovarmi Dimitri alle calcagna.

Mi persi un paio di volte prima di trovare l'immensa sala da pranzo. Era una stanza enorme con i mobili in legno di noce, con intarsi e sfumature dorate. La luce filtrava timida dalle tendine di lino e rendeva l'ambiente soffuso, nonché luminoso. Il tavolo era rettangolare e molto lungo con sedie imbottite. I camerieri servivano il pranzo e lo adagiavano con grazia sulla superficie lignea. A capotavola, Marcus sedeva ritto e posato, ma con una tempesta negli occhi.

Mi guardò con una sorta di scintillio. «Sei riuscita a trovare la via, non avevo dubbi» disse con disinvoltura, con un sorriso che si apriva lento. Il resto della famiglia era già seduta e disposta intorno. Mi sedetti di fronte Marcus, alla sommità opposta. Dave – il fratello di Celina – e Dimitri mi guardavano di sottecchi.

«Sì» risposi. Sorrisi solo con la bocca. Il mio tono era aggressivo. Dimitri mi lanciò un'occhiataccia eloquente, sembrava dirmi "Sta' buona". Intercettai lo sguardo e decisi di dargli retta. O almeno di provare a dargli retta.

Marcus fece un cenno con la testa. «Sei una ragazza sveglia, mia cara. » elargì, alzando il calice di vino in segno di brindisi.

Rimasi in silenzio. Ero certa che se avesse detto di nuovo "mia cara" gli avrei tirato il coltello dritto in fronte.

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