Capitolo 9: La verità (Revisionato)

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Il riflesso delle luci rosse e blu riempivano i miei occhi. I vigili del fuoco avevano arginato il pericolo continuando a gettare acqua attraverso le finestre della casa annerita e dilaniate dalle fiamme prorompenti. Seduta sull'autoambulanza, una donna continuava a premermi sul viso una mascherina per l'ossigeno.

«Sto bene» le dissi debolmente, non volendola più intorno. «Posso fare anche da sola.»

La donna mi lanciò una lunga occhiata e decise di andare verso Dimitri. Di tanto in tanto, la polizia mi rivolgeva qualche domanda per capire cosa fosse accaduto. Non rispondevo. Rimanevo chiusa nel mio angoscioso silenzio. Come potevo rispondere alle loro domande quando non sapevo rispondere nemmeno alle mie? Dopo l'ennesimo tentativo, avevano smesso di rivolgermi la parola costatando che fossi ancora sotto shock per ciò che era successo. Dimitri, che sembrava molto più lucido di me, parlò con loro, ma non sapevo cosa gli stesse dicendo. E non mi importava.

Avevano ragione: ero sotto shock. Ma non troppo da permettere al mio cervello di estinguere il suo lavoro. Mi premetti la mascherina sul viso aspirando avide boccate d'ossigeno. Ero sporca dalla testa ai piedi. Mi sentivo la fuliggine penetrare in tutti pori, i tessuti, sporcando ciò che rimaneva di me. Ero troppo triste e stanca per fare qualunque cosa, per cercare di elaborare ciò che era appena successo. Rimasi lì per un tempo che mi parve un'eternità, fissando il vuoto, lo stesso che avevo dentro.

Dimitri mi si avvicinò dopo un po', anche lui sporco come non l'avevo mai visto: la camicia era ormai da buttare, il biondo dei suoi capelli si era inscurito per via della polvere nera dei detriti e la sua pelle era chiazzata di rosso su alcuni punti.

Mi allarmai. «Stai bene? Sei ferito?» gli chiesi, con una voce che stentavo a riconoscere.

Lui sminuì la mia preoccupazione con un gesto della mano. «Non è niente. Qualche scottatura lieve non mi ucciderà.»

Si sedette al mio fianco. Lo guardavo con la punta dell'occhio stringere il bordo dell'autoambulanza con le vene del braccio in rilievo. Sembrava alquanto scosso, ma non gli chiesi il perché: avevamo appena rischiato di morire.

Rimanemmo a lungo in silenzio.

«Dimitri...» lo chiamai.

Lui si mosse appena. Il mio viso venne calamitato al suo. Non guardava me, ma le fiamme che ancora non la smettevano di illuminare quella fredda notte. Tutto il suo corpo era rigido, ma c'era una sorta di vulnerabilità nei suoi occhi. Qualcosa di morbido oltre il suo strato duro e intransigente. Probabilmente era il motivo che gli impediva di rispondere al mio appello. Mi accontentai di osservare questo nuovo aspetto di lui che, stranamente, mi incuriosiva; nello stesso modo in cui mi incuriosiva il suo profilo macchiato di segreti che avrei tanto voluto conoscere, ma che sapevo bene non mi sarebbero piaciuti.

«Mi dispiace» mi disse d'un tratto, con la voce atona. «Non sono bravo a consolare le persone.»

Espirai l'aria che avevo nei polmoni, ricordando il volto dell'uomo che era entrato in casa mia alla ricerca di chissà cosa. «L'hanno uccisa.»

«Non lo sappiamo.»

«Era tutta...» mi bloccai, deglutendo a fatica nel vano tentativo di sciogliere l'emozione. «... la mia famiglia.»

«Sapremo la verità. Adesso cerca di non pensarci.»

Espirai l'aria di getto. «Cerca di non pensarci? Non ho bisogno di consolazione. Quello che voglio lo sai già...»

Per la prima volta dopo svariati minuti si girò a guardarmi. La mia insistenza doveva avergli fatto cambiare idea. Il colore dei suoi occhi mi colpì in un modo che non mi sarei aspettata: sembravano ardere più delle fiamme stesse. «La verità non ti ridarà indietro tua nonna. Non ti farà stare meglio: il contrario.»

Utrem Humano SanguineWhere stories live. Discover now