Capitolo 7: Negazione (Revisionato)

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Avete presente quando si è talmente tanto persi da non riuscire nemmeno a comprendere la gravità della situazione e vi ritrovate a ridere in modo isterico e incontrollato? Quando lo schock è tale da annichilirti, strapparti dal petto qualunque tua passata convinzione e azzerare ogni tu certezza. Resettare il tuo modo di vedere le cose, il tuo modo di percepire il presente, la tua routine quotidiana, il tuo modo di pensare, dormire, vivere, respirare...

Respirare.

Come si faceva a respirare?

Non me lo ricordavo in quel momento.

«No. È impossibile» farfugliai.

Mi adagiai una mano al cuore che batteva così incontrollato nella mia gabbia toracica che temetti il peggio. Dovevo provare qualcosa. Rabbia. Dolore. Confusione. Ma non provavo niente. Solo un'insana tachicardia. Il mio corpo reagiva prima della mia mente. O forse la mia mente aveva già reagito ma io ero rimasta indietro, perché vidi dinanzi a me solo un vuoto colmo di ombre e cose che mi facevano venire voglia di rannicchiarmi in un angolo della mia stanza.

Richiusi le ante del mio armadio. Le riaprii. Il coltello era ancora lì, sporco del sangue rappreso che ormai aveva preso il colore della terra. Il vestito era ancora lì, macchiato indiscutibilmente di vari schizzi come pennellate furiose. E io ero ancora lì, incapace di elaborare anche solo un'ipotesi.

Mi allontanai con passo malfermo. Sentii un moto familiare incominciare a correre dentro di me. Il moto dell'agitazione, del panico, dell'ansia. Dovevo prendermi i medicinali. Con un fiatone incontrollabile, strisciai verso la mia borsa. Il petto ero chiuso in una morsa gelida, la testa mi faceva male da morire e il corpo sembrava di non voler smettere più di tremare. Mi scontrai con la sedia, inciampai, claudicante, ma non caddi. Con i miei impacciati movimenti feci cadere la borsa con dentro le mie cose. Si riversarono sul morbido tappeto di moquette e subito mi fiondai su di loro. La vista era appannata, riuscii a riconoscere delle lacrime che cadevano dalle mie guance e dal mio naso fino a bagnarmi le mani. Non ci feci caso. Continua a cercare gli ansiolitici o qualunque cose riuscisse a calmarmi, ma non trovavo niente. Presi in mano qualcosa di duro che riconobbi come il mio cellulare. Lo lascia ricadere a peso morto. Perché non trovavo niente? Dove erano?  E perché non riuscivo a vedere nulla? Era tutto sfocato. Tutto indistinto. Solo il coltello si era contornato nitido nella mia mente. Riuscivo a vedere solo quello mentre le sensazioni che stavano sconquassando il mio corpo mi privavano di qualunque tipo di controllo.

Controllo, Dalilah. Controllati.

Sentii del cartone sotto le mie sottili dita bianchissime. Aprii la scatoletta e ne estrasssi una pillola. Non avevo letto che cosa fosse. Non avevo idea di che cosa stavo buttando giù lungo il mio esofago. Ma capii che era la scelta giusta dal momento che mi sentii subito meglio. I miei muscoli si rilassarono, la mia presa sulla scatola delle medicine non era più spasmodica e i miei occhi riuscirono a guardare le cose con più lucidità. Feci un sospiro tremante.

Sentii bussare.

«Tesoro, va tutto bene?» mi domandò la nonna, intenta ad aprire la porta.

Immediatamente mi alzai, mi lanciai contro l'armadio e lo chiusi con forza producendo un gran fracasso.

Clara entrò con espressione di rimprovero. «Signorina, non dovresti maltrattare così il tuo mobilio. Ho lavorato duro per crearti una stanza degna di nota!»

Mi staccai dalle ante, ma non mi scostai totalmente. Avevo l'infondato timore che se lo avessi fatto mia nonna avrebbe capito tutto. Dovevo rimanere di guardia. «Hai... hai ragione nonna» biascicai, tentando di apparire normale. Tuttavia mi era impossibile indossare la maschera dell'inespressività. «Mi dispiace tanto.»

Utrem Humano SanguineWhere stories live. Discover now