Capitolo 7: Negazione (Revisionato, parte 2)

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Non volli registrare il vestiario di Celina. In realtà, avevo evitato di incontrare anche solo il suo sguardo e lei aveva evitato accuratamente il mio. Mi andava bene così, davvero, non mi sarei offesa se avesse deciso di ignorarmi. Assolutamente.

Jason si alzò e salutò Celina con stretta di mano e Dimitri con una pacca affettuosa sulla spalla, mentre Alexis salutò Dimitri con un bacio sulla guancia che sorprese un po' tutti, e Celina con un cenno del capo. Io rimasi seduta, esibendo un sorriso una volta che Dimitri si voltò a guardarmi.

«Ciao» dissi semplicemente. «Perdonatemi se rimango seduta: credo di avere l'influenza» tossii, coprendomi la bocca con una mano. «Non vorrei mischiarvela» mi giustificai. Probabilmente se l'avessi avuta avrei baciato in bocca entrambi, ma mi costrinsi a comportarmi come un'adulta e mi rimproverai per aver pensato questo. Mi rimproverai anche per il modo in cui mi sentivo in loro presenza. La stomaco mi suggeriva che non era solo per antipatia che mi sentivo così nervosa quando mi trovavo di fronte a loro. Era un sentimento profondamente radicato in me. Un'irrequietezza tanto forte da tenermi tesa come una corda di violino per tutto il tempo che passavo in loro compagnia. Un nervosismo che mi spingeva a cercare una via d'uscita.

«Resta pure seduta,» rispose Celina «meno contatti fisici avremo, meglio sarà. Odio l'influenza.» La sua espressione si indurì guardandomi, come se non volesse nascondere la repulsione che aveva nei miei confronti. Dimitri, al contrario, non sembrava così avvezzo a prendermi in considerazione. Infatti, esclamò: «Ho dei buoni anticorpi» e mi prese la mano che prima era abbandonata sul tavolo. Nel momento in cui me la strinse non mi persi la sua aria di compiacimento. Ricambiai la stretta, non facendo in tempo a mascherare la mia sorpresa quanto la mia confusione. Abbassai lo sguardo sul suo polso e sulle sue dita callose. Nonostante fossero rovinate mi trovai a pensare che avesse delle belle mani: larghe, affusolate e lunghe. Calde. Proprio come quelle di un pianista. Mentre mi lasciava la mano, io la ritrassi come se me l'avesse scottata. In un certo senso, la freddezza della mia pelle in contrasto con la sua epidermide bollente mi aveva provocato una scossa lungo tutto il braccio. Appoggiai le mani sulle cosce, sotto il tavolo, nascoste dai suoi occhi vispi ed estremamente attenti a ogni cosa. Avevo la paura che si accorgesse del mio leggero tremore. Un tremore, tra l'altro, estremamente insensato.

Tutti presero una birra artigianale, mentre io ordinai un cocktail analcolico che aveva il vago sapore di succo di frutta al gusto di ACE annacquato. Sorseggiammo le bevande parlottando del più e del meno. Dimitri era sempre più a suo agio tra noi. Aveva una vasta esperienza come oratore, perché quando raccontava le sue imprese aveva il dono di riuscire a incantare tutti con i suoi gesti quasi plateali. Celina, al contrario, era restia a qualunque tipo di dialogo, gli unici interventi che faceva erano quelli che correggevano Dimitri nel momento in cui non ricordava un avvenimento che li aveva resi entrambi partecipi, ma, oltre a questo, non rivolgeva la parola né a me, né a nessun altro. Come la sottoscritta, del resto. Alexis e Jason mi nominavano ogni tanto, cercando di incitarmi ad unirmi alla conversazione, ma io rispondevo solo con qualche cenno del capo o con un "Sì", "Vero", "Confermo", e niente più. Mi sentivo scossa, stanca, inquieta. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo quel coltello nel mio armadio. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il freddo e cinereo volto di Jonathan mentre perdeva la luce dei suoi occhi. Rivivevo quel momento nella mia mente, mandandolo avanti, facendolo tornare indietro come un vecchio nastro che si riavvolgeva a una velocità devastante. C'era solo il pulsante Play. Il nastro girava a ripetizione, continuamente, incessantemente, mentre io cercavo di parlare in maniera normale, vivere in maniera normale, respirare, guardare, ma mi era impossibile. Malgrado ciò, nessuno riusciva a notare la mia anima turbata. E poi, a un certo punto, notai un'occhiata diversa dalle altre. Era stata veloce, come il battito d'ali di un colibrì, ma era rimasta impressa sul retro dei miei occhi. Dimitri si era accorto che qualcosa non andasse in me. L'oscurità calò su di lui come il sipario di un palcoscenico che annunciava la fine della finzione. Non parlava più, non sembrava più divertito, ma mi guardava con una certa... preoccupazione? Una certa curiosità? L'unica cosa che avrei potuto dire è che mi guardava, in che modo non avrei saputo dirlo. Infine, presa da una sorta di malsana letargia, mi ritrovai a fissare la sua mano mentre stringeva il bicchiere di vetro bagnato. Perché la stavo fissando? Lui se n'era accorto? Lo stavo mettendo in imbarazzo? Non mi importava. Mi piaceva guardarla. Mi piaceva la sua mano. Le sue nocche sporgenti e rovinate, i suoi tendini in rilievo, le sue unghie curate mi donavano una sorta di tranquillità. Mi davano qualcosa da fare. Una distrazione. Qualcosa su cui riflettere. Mi ricordai della cena a Grouse Mountain, del mio attacco d'ansia e del suo gesto di gentilezza. Mi aveva dato una pillola. Una pillola... rossa. Mi destai da quella sorta di incantesimo in cui ero caduta. Alzai gli occhi e incontrai i suoi, che erano già stati preparati per accogliermi.

Utrem Humano SanguineTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang