capitolo terzo

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Avevo fatto sellare il cavallo nel primo pomeriggio, poi ero partito alla volta del palazzo di Utahime, poco distante dal mio. Uno dei miei sottoposti aveva spedito la sera precedente alla mia futura sposa una lettera, dove le chiedevo se avessi potuto recarmi da lei il giorno seguente per discutere di una faccenda. Quella del dipinto.
Non so se quella lettera arrivò mai a destinazione o se lei la lesse, perché senza attendere risposta mi recai da lei.

Fu la sua dama di compagnia, Shoko, ad aprirmi il portone di casa. -Signorino Gojo, buon pomeriggio- mi disse quasi stupita della mia presenza davanti a lei, inchinandosi in segno di rispetto. Le porsi una mano davanti al viso e le indicai di alzarsi, non amavo questi convenevoli. -Buon pomeriggio Shoko, Utahime è in casa?-

Si scostò leggermente per permettermi di entrare, indicando il centro del lungo corridoio che spezzava a metà il palazzo.
-Attualmente sta finendo di fare un bagno, la avverto della vostra presenza, intanto accomodatevi pure-

Mi andai a sedere su una poltrona color rame presente nel salotto, con il volto rivolto verso l'alto a guardare il soffitto colmo di affreschi.
In quella casa non mancavano dipinti, colori, statue e sicuramente era una casa totalmente diversa dalla mia.
Quando sentii dei passi dietro di me, poco dopo essermi accomodato, girai il capo.

-Satoru, che sorpresa, non ti aspettavo qui oggi-
Una ragazza dai lunghi capelli violacei spuntò davanti a me. Aveva una lunga veste bianca che la copriva dalle spalle alle caviglie, con una benda legata intorno alla vita dello stesso colore dei suoi occhi e la sua inconfondibile cicatrice sul viso.
Mi alzai istintivamente ma mi fece segno di non dare importanza a questi antichi convenevoli e di starmene dov'ero.
Prese una sedia e si mise davanti a me, accavallando le gambe con le braccia sul grembo.
-A cosa devo questa visita?- mi domandò con un piccolo sorriso sul volto.
Nonostante tutto ero sempre felice di vederla.

-Si tratta del tuo regalo di compleanno-
-Oh, intendi il dipinto?- mi domandò sporgendosi verso il tavolino in legno accanto a se, dove era poggiata una tazza di tè che avrei giurato fosse ormai diventato freddo. -Vuoi qualcosa da bere?- mi domandò indicando la tazza che teneva tra le mani, ma io scossi il capo.
-Tu sei a conoscenza del dipinto?- le domandai confuso corrucciando le sopracciglia. Perché lei lo sapeva ed io invece no?
-Certamente, perché tu no?-
-No, l'ho scoperto ieri-
-Io l'ho saputo da tua madre, se non sbaglio tre giorni fa-
E io l'avevo saputo il giorno precedente. Dal mio sarto.

Utahime poi continuò a parlare dopo aver notato il mio viso contorto in una smorfia più delusa che arrabbiata. -Non ne sei venuto a conoscenza da tua madre, vero?- mi domandò poggiandomi una mano sul ginocchio.
Sapeva capire cosa non andava in me solo guardandomi, d'altronde era la mia unica amica da quando ero ancora in fasce.
Scossi il capo -No, no me lo ha detto il mio sarto-
-Come sempre- mormorò Utahime alzandosi dalla sedia con una spinta.

Anche lei sapeva della "talpa" in casa mia ed era contrariata rispetto al comportamento menefreghista che mia madre assumeva nei miei confronti. Faceva così ormai dalla morte di mio padre.
Si diresse verso il quadro che se ne stava sopra al caminetto, poi si toccò la cicatrice sul volto e si voltò nuovamente verso di me.
-Tua madre sa quanto io ami la pittura, per questo ha deciso di regalarmi un nostro dipinto per il mio compleanno, ma- tirò un sospiro, fece per continuare ma io la interruppi -Ma tu non mi ami-

Vidi il suo sguardo quasi spaventato, sbarrando gli occhi prima di venire veloce verso di me. Si sedette a terra dopo aver sistemato la vestaglia sotto le sue gambe, poggiando entrambi i gomiti sulle mie ginocchia, guardandomi dal basso. -Non volevo dire questo- cercó di giustificarsi lei come impaurita da una mia reazione contrariata. Con l'indice della mano destra le spostai una ciocca dietro l'orecchio, poi sorrisi un poco. Ero contento che anche lei non provasse amore per me, infondo io l'ho sempre saputo.
-Utahime- sospirai -Io ti amo come se fossi mia sorella, e so che anche per te è lo stesso, ma non saremo mai veramente marito e moglie-

Il suo sguardo dopo quelle parole risultava essere più tranquillo, sereno, come se le avessi dato la mia benedizione. Portò la sua mano sulla mia ancora dietro al suo orecchio, poi la portò sulla guancia. -Noi ci sposeremo comunque, questo lo sai vero?-
Eravamo costretti ad andare contro la nostra volontà, da sempre -Si- risposi -Lo so-

Mi lasciò la mano e mi guardò dritto negli occhi.
Lei era l'unica che riusciva a guardarmi senza pensare che fossero spaventosi. -Io voglio comunque diventare tua moglie. Dobbiamo farlo, soprattutto per tuo padre-
Mio padre l'adorava, credeva lei fosse la ragazza perfetta per me e come dargli torto, era la donna più desiderata di Edo. Ed io non riuscivo ad amarla.

-Dovremo fingere per tutta la nostra vita, sei pronta a fare ciò?-
Dopo averle posto quella domanda una lacrima rigò il suo volto, fermandosi a metà della cicatrice sulla guancia. Gliel'asciugai.
-Io amo una persona con la quale un matrimonio sarebbe impossibile- inspirò profondamente -Tu sei l'unico che vorrei al mio fianco per tutta la vita al di fuori di lei-
La guardai confuso al suono di quella parola.
Lei.
Poi Shoko entró in salotto.

Si scusò per l'interruzione schiarendosi la voce poi disse -È ora della vostra lezione di violino signorina Utahime-

La mia futura sposa mi guardò dopo che Shoko parló, con un piccolo sorriso sul volto, poi si alzò e mi lasciò un piccolo e dolce bacio sulla guancia destra.
-Ci vediamo per l'inizio del dipinto- mi sussurró all'orecchio.
Ricambiai il bacio, poi la vidi sparire con la sua dama di compagnia dietro la porta che divideva il salotto dal corridoio.

Mi alzai dal divano ed osservai l'enorme dipinto che stava sopra al caminetto di casa sua.
Un giorno lí ci saremmo stati noi due.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now