capitolo tredicesimo

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Lo vidi arrivare sul mio cavallo, quello bianco che gli avevo prestato il giorno in cui siamo andati alla mia tenuta per la prima volta. Stavo sistemando il mio arco, affilando un paio di frecce con il cuore in gola, le dita che tremavano e il respiro che fuorusciva dalle mie labbra come una nuvola di fumo. Temevo non sarebbe mai arrivato.

Io mi ero recato alla mia proprietà ancora alle dieci di sera, volevo fosse tutto in ordine per il suo arrivo.
Mi misi a fare un giro di quell'enorme casa, osservando come anche dopo la morte di mio padre i giardinieri mandati li da mia madre fecero un ottimo lavoro. Se non fosse stato per loro un posto del genere abbandonato da così tanto tempo sarebbe divenuto ormai parte integrante del bosco.

Fuori, nel giardino, posizionai qualche lanterna a terra e appesa alle pareti, perché nel buio così immenso di quella notte non sarei riuscito a vedere nemmeno dal mio naso al mio dito. Mi diressi poi in cantina, nella parte sotterranea della casa, dove trovai tutte le cianfrusaglie che mio padre teneva lì e che nessuno aveva più osato spostare nemmeno per sbaglio. Mi piegai sulle ginocchia, stringendo la benda che mi teneva salda la tunica, prima di alzarla leggermente con le dita della mano destra. Poi, una volta ormai quasi steso a terra, lo vidi.
Lì era presente un bersaglio mezzo rotto che usavo da piccolo per fare pratica. Quelli migliori li tenevo a casa. Lo estrassi da sotto ad un tappeto e mi rimisi su due piedi, iniziando a scuotermi le vesti per far andare via la polvere, non volevo mi vedesse così, sporco.

Quando tornai in superficie lo posizionai ai piedi del pozzo presente nel giardino, poi mi andai a sedere lì accanto. Estrassi un piccolo coltello dalla mia sacca, ed iniziai ad affilare le frecce, prima che lui fece il suo ingresso, avevo intenzione di scaricare la tensione con il mio hobby se non fosse arrivato per quell'ora.

-Non pensavo fosse stasera la lezione di tiro con l'arco- mi disse spiritoso arrivando dritto verso di me a cavallo, prima di arrestarsi a pochi centimetri dal mio corpo.
D'istinto mi alzai, lo guardai dal basso verso l'alto.
-Ciao, Geto-
-Buonasera- mi rispose con un piccolo sorriso sul volto, iniziando poi a scendere dal proprio destriero. Prese in mano le redini ed osservando il mio accanto alla casa, andò in quella direzione.
Legò quegli spaghi di pelle attorno ad un tronco, poi si pulì le mani nella sua tunica tutta stropicciata evidentemente per il viaggio.

-È andato tutto bene? Intendo, a casa mia- gli chiesi mentre lento si stava facendo sempre più vicino.
-Oh, si, tutto ok, ho chiesto di Haibara come mi hai lasciato scritto, poi ha fatto tutto lui-
-Perfetto- risposi io felice di sentire una risposta affermativa, poi gli indicai la panchina che se ne stava accanto al pozzo.
-Siediamoci- gli dissi ancora con il braccio teso, prima che lui si accomodò.

-Iniziate voi?- mi domandò una volta sedutosi accanto a me, voltandosi nella mia direzione, facendo incrociare come sempre i nostri sguardi.
-Solo se te la senti- gli risposi alzando le spalle, prima di poggiargli una mano sulla coscia. Lo vidi sobbalzare.
-Prego- sentenziò prontamente lui.

Gli spiegai così tutta la storia, dall'inizio fino alla fine. Partii dal giorno in cui andai da Utahime, fino ad arrivare all'ultima frase che mi disse prima di lasciare casa sua. Non è stata una cosa semplice per me da dire, quindi immagino quanto non lo sia stata per lui da sentire, ma non fece una piega, non fece nessuna smorfia, era di ghiaccio. Sembrava quasi che nemmeno la più disarmante delle informazioni che a raffica gli stavo dicendo potesse scalfirlo.
Doveva aver sofferto fin troppo per arrivare ad essere così, freddo.

Ho tenuto la mano poggiata a lui per tutta la durata del mio discorso.
-Mi dispiace- gli dissi infine, dopo aver vuotato il sacco -Non so che altro dire-
-Non è stata colpa vostra- sentenziò in risposta, poggiando la sua mano calda contro la mia congelata. Per la prima volta, le nostre mani si incrociarono a tutti gli effetti, senza timore, senza conseguenze. Ci toccammo.
-Se non vuoi continuare il quadro per Utahime, io posso comprenderlo-
-No- rispose secco -Non lascio mai a metà i miei lavori, lo porterò a termine partendo da domani e lo finirò in quattro giorni, come ho detto a vostra madre-
-Non deve essere bello dipingere l'assassina che ha ucciso tua madre-
-Non deve essere bello nemmeno per voi sposare una persona che non amate, eppure non siete qui a lamentarvi con me-
-C-come?- gli dissi quasi soffocandomi con la mia stessa saliva, con l'aria, lo guardai con occhi di ghiaccio ed un'espressione che poteva risultare confusa solo ad uno sconosciuto, ma che a lui risultava essere più che chiara. Sapeva ormai leggere i tratti del mio viso ad ogni mio mutamento, ad ogni espressione.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now