capitolo ventiseiesimo - the last

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-Geto è morto-
Fu con quelle tre parole che Utahime cadde tra le mie braccia, sprofondando la faccia nel mio petto ed iniziando a colpire ripetutamente il terreno sotto le sue ginocchia.
Io non risposi, non feci il minimo movimento, non esalai il minimo respiro, mi limitai a fissare il vuoto, iniziando a vedere tutto nero.
Le orecchie cominciarono a fischiarmi, persi nel giro di pochi secondi la sensibilità alle gambe, alle braccia.
D'un tratto, mi ritrovai steso lungo il pavimento.

Non ho ricordi di quello che successe dopo che persi completamente i sensi, l'ultima cosa che riuscii a vedere, fu la figurati di una donna che mi osservava da lontano, prima di ritirarsi nella sua stanza senza dire la minima parola, con un sorriso soddisfatto, un ventaglio alla mano e uno dei suoi soliti vestiti pomposi.
Era stata lei, era stata lei a uccidere Geto, a uccidere l'amore della mia vita.
Quando persi i sensi, sperai di riuscire a vedere la sua immagine nel chiudere le palpebre, sperai di riuscire a sentire la sua voce soave mentre le orecchie mi fischiavano. Ma nulla, non riuscivo a percepire nulla.

Poi arrivò una voce.
-Satoru!-
Mossi prima una mano, lentamente, poi iniziai a scuotere il capo.
-Satoru! Svegliati!-
Aprii una palpebra, poi l'altra, ritrovandomi davanti al viso quello di Utahime, che nel vedere i miei occhi aprirsi poggiò la sua fronte contro la mia, tra le lacrime -Grazie a dio!- continuò scuotendo velocemente la testa.

Io non risposi, per quanto potessi essere svenuto, mi ricordavo esattamente delle sue parole, di ciò che era appena successo a Suguru.
Non le dissi nulla, mi misi solo a sedere sul letto con le gambe a penzoloni fuori da esso.
Mi schiarii la voce -Dov'è ora?-
Lei spalancó gli occhi, poggiandomi una mano sulla spalla per cercare di darmi conforto -Alla tua tenuta- mi rispose asciugandosi la guancia bagnata dalle lacrime con la manica della camicia di lino che indossava quella notte.
-C'è lì qualcuno?- le domandai guardandola negli occhi, con sguardo perso, sguardo vuoto, senza emanare la minima emozione.
-Intendi lì con lui?-
-Si-
-No, quando sono arrivata io era steso sul pavimento- si fermò non appena vide il mio sguardo abbassarsi -Se non vuoi sapere, io non ti dirò cos'è successo-

Ma io le dissi di continuare, le dissi che volevo sapere, le dissi che se avessi saputo forse sarei riuscito da qui a cento anni a mettermi l'anima in pace, a non colpevolizzarmi per una cosa che in fin dei conti avevo causato io. Perché se io avessi deciso di uscire da quella stanza, quella notte, forse lui sarebbe ancora tra noi, forse lui sarebbe sopravvissuto e avremmo avuto il nostro lieto fine come speravamo entrambi.
Per lui non ho mai desiderato altro che le migliori cose, ma con le sue parole mi fece capire fin da subito che sapeva che sarebbe finita come con sua madre. Nonostante cercai di fare di tutto per impedirlo, in cuor mio anche io lo sapevo.
Ma ci amammo comunque come nessuno mai fece prima d'ora.

Così Utahime mi spiegò di come arrivò alla mia tenuta, preoccupata, sperando io fossi lì per poterle dare giustificazioni rispetto a ciò che era successo con mia madre. Eppure quando giunse sul posto, vide solo un uomo allontanarsi a cavallo con un arco in mano, lasciando la porta della casa spalancata.
-Era il tuo arco, Satoru- mi disse a voce bassa.
Non mi mossi, non spalancai occhi o bocca per lo stupore, non dissi nulla. Avevo lasciato fuori dalla mia tenuta il mio arco poggiato al pozzo da giorni.
Era morto per colpa mia, era morto per una delle mie frecce scoccate con il mio arco.
Quando entrò Geto era steso sul pavimento, aveva una freccia nel petto, mentre perdendo sangue cercava di chiamare aiuto.
-Stava chiamando il tuo nome- continuò la ragazza accanto a me portandomi una mano sulla coscia che iniziò ad accarezzarla con fare materno.
Non dissi nulla.
Utahime gli disse che sarei arrivato da lì a poco, cercando di fermare il sangue come meglio poteva. Con il suo abito, con le sue mani, prima che lui le bloccasse uno dei polsi "Digli che lo aspetto alle porte del paradiso" le disse a voce bassa piangendo, con un piccolo sorriso sul volto "Sarà sempre il mio angelo salvatore".
-Dopo quella frase il sorriso svanì, le lacrime si seccarono sulle sue guance e smise di respirare. Ho controllato il battito, non c'era più. Era tutto finito-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now