capitolo ventiquattresimo

125 15 0
                                    

Quando misi piede in casa mia, dopo essere tornato da cavallo dalla mia tenuta, l'atmosfera in quel luogo era cupa. Mi guardai attorno, ancora con la mano poggiata sulla maniglia del portone, ma non vidi nessuno, nè inservienti, nè tantomeno Haibara.
Mi incamminai verso il salone, scrutando attorno a me alla ricerca di mia madre. Ma nulla.
Non c'era il minimo rumore, nemmeno la singola presenza di una zanzara fastidiosa che con il suo ronzio mi dava noia. Niente di niente.

Abbandonai il mio cappotto sul pavimento, non curante del fatto che avrebbe potuto arrecare fastidio alle donne delle pulizie. Pensai piuttosto a dirigermi verso camera mia, adiacente a quella della donna che mi diede la vita.
Quando aprii la porta, però, lei era lì seduta sul letto.
Aveva le gambe accavallate, girata verso di me, mentre con entrambi i polsi poggiati sulle ginocchia teneva un libro che era intenta a sfogliare. Non alzó il viso, quando entrai lì dentro.
-Madre- le dissi a voce bassa, prima di richiudermi la porta dietro le spalle, nella speranza che cogliesse al volo le mie parole e mi prestasse un'attenzione che in quel momento non mi stava dando.
-Siediti- si limitò solo a dire con tono gelido, indicandomi la poltrona che se ne stava accanto al letto.
Feci come mi disse in silenzio.

-Cosa credi che penserà la città?- cominciò lei chiudendo il libro che teneva aperto con solo l'uso del pollice della mano destra.
-Come?- le chiesi confuso iniziando a scuotere il capo per invitarla a dirmi di più.
-No dico- continuò togliendosi gli occhiali da vista che teneva poggiati sul naso, prima di rivolgermi lo sguardo più di fuoco che una persona mi avesse mai rivolto -Cosa credi che penserà la città, di me? Forse che non sono stata una buona madre?- insistette lei su questa linea, portandosi con fare confuso il pollice e l'indice al mento.
-Non riesco a capire cosa stiate dicendo, madre- le risposi sempre nella più totale confusione.

-No, forse non che io sia stata una cattiva madre, perché alla fine io ti ho dato tutti gli insegnamenti del caso al fine di farti crescere come un uomo rispettabile-
Stava delirando per caso?
-Gli errori si fanno in due, una parte di colpa dovrebbe prendersela anche il tuo defunto padre-
-Che c'entra ora mio padre?-
Si, stava decisamente impazzendo, non sarei riuscito a trovare una spiegazione migliore alle sue parole. Cercavo di tracciare nella mia mente linee immaginare che potessero collegare i punti lasciati qua e là da lei, ma che risultavano a prescindere senza senso.
-La colpa però ricade sempre sulle madri, perché d'altronde sono io quella che ti ha tenuto in grembo nove mesi, non tuo padre, troppo intento a sbrigare faccende burocratiche e a cacciare-
Cambió posizione, ora poggió le mani dietro di se sul materasso, iniziando a guardare il soffitto.
-Automaticamente sono io che ti ha educato così, ma devi capirmi, è stata la prima volta anche per me, io non ho mai fatto da madre prima d'ora, se ho fatto qualche errore ti chiedo di perdonarmi-
Rimasi in silenzio, nella speranza che arrivasse alla conclusione di questo suo mongolo insensato.
-D'altronde nessuno nasce imparato, come si suol dire, perciò insieme a te sono crescita anche io, eppure io sono cresciuta bene, a differenza tua-
Quando pronunciò quelle tre parole "a differenza tua" mi guardò nuovamente, scavallando le gambe, prima di alzarsi elegantemente dal mio letto.

-Da una parte sono contenta che tuo padre sia morto sai- cominciò a venire verso di me -Se vedesse come sei diventato, se avesse la possibilità di sentire anche solo metà delle cose che le mie povere orecchie hanno udito, si rivolterebbe nella tomba. Ma se fosse ancora vivo, beh, se lo fosse, non lo saresti più tu, ora come ora-
Si abbassò all'altezza del mio viso, ponendo entrambe le mani sui braccioli della poltrona sulla quale ero seduto e dalla quale non mi ero mosso di un millimetro, nemmeno per respirare.
-Dimmi Satoru, sono stata una cattiva madre, io?-
Rimasi sbalordito dalla tristezza nella voce attraverso la quale mi pose quella domanda. Dove voleva arrivare precisamente?
-No, madre- mi limitai a dire solo, deglutendo sonoramente prima di poter proferire altra parola.
-Ah no?-
-No-
-Questo mi rincuora figlio mio- mi disse con un piccolo sorriso sul volto, ma poi il suo viso mutò di nuovo. Sembrava di assistere ad un pezzo teatrale dove l'attrice era una singola persona, mia madre, la quale cambiava in continuazione la propria maschera, il proprio personaggio.

-Allora dimmi- iniziò inclinando leggermente il capo verso sinistra -Vai a letto con quell'uomo?-
Sbiancai.
Smisi di respirare.
Deglutii.
Ma non mi mossi di un centimetro.
Le lo sapeva.
Sapeva di lui.
Sapeva di noi.
-Non so di cosa stiate parlando-
Mi arrivó uno schiaffo dritto il pieno volto, che fece girare la mia faccia a sinistra. Riuscii a contare fino a tre prima che me ne sferrasse un altro, questa volta facendomi fischiare l'orecchio.

-So tutto Satoru, non serve che tu menta a colei che ti ha dato la vita- sentenziò allontanandosi da me, mentre me ne stavo con il volto basso, osservandomi le gambe.
-Se fossi stata una buona madre a quest'ora non saresti così, diverso dagli altri-
-Mi state descrivendo come un mostro-
Che avevo da perdere ormai? Lei mi avrebbe ucciso, ne ero certo.
-Perché lo sei- esclamó a gran voce, girandosi verso di me prima di puntarmi un dito contro -Lo sei, dalla punta del primo capello che hai in capo fino alla parte di pelle più sottile delle dita dei piedi e il fatto che tu non te ne renda conto ti fa sembrare ancora più anormale-
-Vi vergognate di me, è questo il vero problema- le dissi senza mai alzare il volto, mai.
-Chiunque lo farebbe ad avere come figlio un pervertito che passa il tempo a divertirsi con gli uomini-
Solo uno, e ne ero innamorato.
-Nella vita tu non vali nulla, il nostro casato nelle tue sole mani è destinato alla distruzione, dovresti ringraziare il cielo che Utahime sia disposta a sposare un uomo viscido come te. Spera che io possa campare più a lungo di quanto tu immagini, perché sono io la salvezza del clan Gojo-
Rimasi in silenzio, nella speranza che quell'agonia potesse finire presto.
Le sue parole avevano l'obiettivo di scalfirmi come una pietra, ma non ci sarebbe riuscita, non sarebbe riuscita ad abbattermi perché dalla mia parte avrei ancora avuto Geto. L'avrei sempre avuto dalla mia parte, no?

-E pensare che quel pezzente te l'ho fatto conoscere io, è pure un pittore mediocre-
La guardai dritta negli occhi, quella frase non poté far altro che smuovere in me una rabbia immane, avrei assoldato Toji per ucciderla molto volentieri in quel momento.
-Parlate di me, non di lui-
-Io parlo di chi mi pare e piace, non hai il diritto di comandarmi-
-E voi non avete il diritto di parlare di Geto, quindi continuate a infierire sul mio conto, non sul suo-
-Allora torniamo a parlare di te, del fatto che hai assoldato il mio mercenario, mio! Non tuo! Per i tuoi scopi vili- continuó balzando nuovamente verso di me -Nessuno ti ha dato il permesso di chiamare Toji per far tagliare le mani ad un uomo! Le mani Satoru ti rendi conto?-
-Ha deciso lui cosa farne di quel ragazzo, non io-
-Questo non ti giustifica- mi disse scuotendo il capo -Non ti giustifica affatto-

Si rimise in piedi, portandosi una mano sulla fronte mentre con l'altra iniziava a sventolarsi a mo' di ventaglio.
-Pure la lingua, come se non bastassero le mani gli ha tagliato la lingua, pensando poi che magari Toji non sarebbe venuto a dire nulla a me quando sono io a pagarlo!-
-Perché parlate di me come se fossi il più bastardo tra i cani quando voi avete fatto di peggio?-
Si giró verso di me e con una velocità immane mi scaraventò addosso il vaso di fiori che se ne stava sulla mensola accanto alla finestra. Per fortuna si scaraventò sul pavimento prima che mi potesse raggiungere, ma io non feci il minimo movimento.
-Tutto quello che ho fatto, dalla prima all'ultima cosa, è stata per garantire un futuro a te in questo clan, togliendo di mezzo ogni ostacolo-
-Sarebbe questa la vostra giustificazione rispetto alla morte di un centinaio di persone?-
-Si!- esclamó a gran voce allargando le braccia, prima di alzare le spalle -Si è questa, qual è la tua per aver tagliato lingua e mani a quel ragazzo?-
-Suguru- mi limitai a dire solo a voce bassa.
Le vidi alzare lo sguardo verso di me, corrucciando le sopracciglia -Come prego?-
-Suguru, Suguru Geto è la mia giustificazione-

Dopo quella risposta, non mi guardò più, non mi rivolse più parola finché poggiò la mano sulla maniglia della mia camera.
-Non sarà più un tuo problema, da qui in avanti-
Poi chiuse la porta dietro di se e andò via.
Lasciandomi lì su quella poltrona con l'amaro in bocca.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now