capitolo quindicesimo

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Me ne stavo in piedi, in un salone pieno di gente che stava attorno a me posta a ferro di cavallo. Ero fermo davanti a quell'enorme scalinata con un braccio dietro la schiena ed uno piegato che tenevo poggiato sul bacino, busto eretto, immobile, con lo sguardo di tutti addosso. I miei occhi erano puntati sulla cima di quella che sembrava essere una rampa infinita, che continuava a salire e salire, dove sulla cima, seduti come re e regina se ne stavano i genitori di Utahime. Accanto a loro c'era anche mia madre, la donna che con sguardo infuocato mi guardava, intimandomi senza parlare di non fare il minimo errore.

Stavo aspettando che colei che avrei dovuto considerare la mia donna scendesse le scale, per fare il suo ingresso, dopo il cambio d'abito, e concedermi il primo ballo, anche se avrei preferito che quel momento non arrivasse mai.
Avevo solo voglia di girarmi ed andarmene, portando con me l'enorme quadro che Suguru aveva dipinto e che se ne stava appeso sulla parete alle mie spalle, in bella vista. Se avessi potuto l'avrei portato alla mia tenuta fuori Edo ed insieme al pittore l'avrei guardato bruciare in un falò che avrei acceso stando tra le sue braccia.
Avrei guardato bruciare la falsità del nostro amore in una fiamma sempre più flebile man mano saliva verso l'alto. Ma l'unica cosa che potevo davvero fare in quel momento era aspettare Utahime immobile, senza la facoltà di dire o fare nulla, con il nodo in gola e la mani sudate.
Avrei voluto chiudere le palpebre, scomparire da quel mondo che mi soffocava, andare da lui. Stavo per piangere, gli occhi mi bruciavano, la bocca era secca e mi stava per scappare una lacrima. Avrei voluto solo essere lì con Geto.
Poi, un applauso, legato ad un altro, legato ad un altro ancora, diventò un coro di applausi che mi fece tornare con i piedi per terra.

Scossi leggermente il capo, lei era lì.
Salutava tutti dall'alto della scalinata, con un grande sorriso sul volto, mentre teneva sollevato quel pomposo vestito con le dita della mano destra.
Poi mi guardò. Ci lanciammo uno di quegli sguardi che duravano un secondo ma che sembravano durare un'eternità, che volevano dire tutto e niente.
Iniziò successivamente a camminare, scendendo le scale lentamente.

Ad ogni passo avevo l'impressione che la mia fine si stesse avvicinando sempre di più. Sentivo il peso degli occhi di tutti coloro che mi stavano accanto incombere su di me come un macigno. Sembrava che davanti a me si stesse avvicinando un boia pronto per tagliarmi il collo, ed in quel momento, l'ho davvero desiderato quel boia.
Ho desiderato che arrivasse qualcuno in quel momento con un coltello da conficcarmi nella schiena, nel collo, un pugnale che potesse far cessare il mio cuore di battere. Piuttosto che condurre una vita con lei, piena di menzogna, avrei preferito la morte.
Poi, me la ritrovai di fronte.
Il suo sguardo colpevole che si incontrava con il mio, la sua mano che mi invitava ad un bacio, io che l'avrei dovuta invitare ad un ballo.

Mi inchinai davanti a lei, mi prostrai davanti a colei che aveva rovinato la vita al ragazzo di cui mi stavo innamorando, poi le baciai la mano.
Chiusi gli occhi e contai fino a tre. L'unica cosa che riuscii a vedere il quel momento erano gli occhi di Geto, mentre pensavo alla sua voce che mi diceva -È solo per una sera-
Poi li aprii, nella speranza che quello fosse solo un brutto sogno, che davanti a me ci fosse il pittore e che mi sarebbe toccato ballare con lui, solo con lui, in una stanza vuota priva di sguardi indiscreti, di falsi giudici che puntavano il dito come in un tribunale. Ma non fu così.
Quando alzai il capo, Utahime era davanti a me, con un sorriso più falso del nostro amore, pronta a farsi portare dal proprio cavaliere per dar inizio alle danze.

La guardai, una lacrima mi rigó il viso, mentre con un'espressione di dolore riuscii a dirle solo -Mi concedi questo primo ballo?- tenendole salda la mano sinistra.
Nel vedere la goccia di rugiada scendere dai miei occhi, immediatamente sbiancò, spalancando i suoi.
Prese salda nella mano libera la parte superiore della manica del suo abito, poi, come un soffio di vento, la passò sul mio viso, asciugandomi la guancia.
Scosse il capo, lentamente, come per non farsi notare da nessuno tranne che da me.
Poi rispose alla mia domanda -Con piacere-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now