capitolo decimo

163 15 0
                                    

-Signor Gojo! Che ci fate qui?-
-Utahime è in casa?-
Il giorno successivo alla confessione di Geto, non so se lui si presentò a casa mia per continuare il quadro, perché partii all'alba alla volta della casa della mia futura moglie. Non richiesi una carrozza, né un cavallo, mi diressi lì a piedi. Volevo avere del tempo per metabolizzare, per pensare.

Quella notte non chiusi occhio, il suono flebile di quel nome uscito dalle labbra del pittore risuonava nella mia mente come un rombo di tamburi ed io ero incapace di farlo smettere. Ero pallido in viso, più del solito, avevo lo sguardo stanco, il passo lento, ma nonostante questo volli uscire a prendere un po' di aria e farmi quel tratto di strada a piedi con il sole caldo che saliva in cielo, gli uccellini che cinguettavano e le foglie per strada.

La sorpresa di Shoko nel vedermi lì senza carrozza o cavallo era più che comprensibile, per un nobile sarebbe stato inaccettabile spostarsi per le strade di Edo a piedi con il rischio di incombere in pericoli.
-È in camera sua, si è svegliata da poco- mi disse dopo aver aperto il portone di casa. -Posso andare da lei?- le chiesi sforzando un sorriso in viso, volevo risultare il più impassibile possibile.
-Credo non ci siano problemi, se volete attendere qui posso avvertirla- le misi una mano davanti al volto e la scossi piano -Non ce n'è bisogno, conosco la strada-

Senza attendere che mi facesse passare irruppi nel suo palazzo e mi diressi verso l'enorme scalinata che portava ai piani superiori, dove sulla destra era presente la sua camera da letto.
Bussai due volte -Entra pure- mi disse una voce stanca dall'altra parte della parete, così non me lo feci ripetere due volte ed aprii la porta.
Era evidente stesse aspettando Shoko al posto mio per farsi sistemare i capelli, perché se ne stava seduta davanti al suo specchio con la schiena rivolta verso l'entrata della stanza.
Mi vide attraverso il riflesso, così si girò di colpo con gli occhi spalancati.
-Satoru! Che ci fai qui a quest'ora della mattina?- mi domandò alzandosi istintivamente per venire verso di me.

L'allontanai non appena me la trovai di fronte, le poggiai una mano sulla spalla destra e la spinsi leggermente indietro, invitandola a starmi lontana.
Vidi subito la confusione sul suo volto, le sopracciglia corrucciate e gli occhi di una persona che si era svegliata da poco.
-Ti devo parlare- le dissi io subito senza mezzi termini.
-Parlare? E di che?-
-Siediti-
Le indicai il letto dietro di sè con un dito e lei fece come dissi. Mi andai ad accomodare accanto a lei, ma non la guardai, nemmeno per un secondo. Potevo sentire il suo sguardo colpevole sul collo nell'attesa che io parlassi per primo, che le dicessi qualcosa.

-Perché non mi hai detto che conoscevi Geto già prima dell'inizio del dipinto?- le chiesi fuori dai denti, con tono rabbioso, la gola secca, la delusione in corpo. Avrei giurato di sentire il suo cuore fermarsi e il suo respiro rallentare.
-C-che stai dicendo?- balbettò lei con un sorriso isterico sul volto. Stava iniziando a sudare freddo.
-Hai sentito, no? Te lo devo ripetere? Perché non mi hai detto che già in passato conoscevi Geto?-
-Perché io l'ho conosciuto quando abbiamo iniziato il dipinto- continuò iniziando ad intrecciare nervosamente i pollici l'uno con l'altro. Lo faceva quando mentiva, la conoscevo troppo bene.
-Possiamo dare un taglio a questo teatrino Utahime? Te lo sto chiedendo in modo calmo, ma non scherzo, se continui a mentirmi faccio un macello-

Mi alzai di colpo, incapace di starle accanto. Stava mentendo a me, il suo futuro marito, la persona con cui avrebbe dovuto passare il resto dei suoi giorni. Mi diressi verso la finestra e l'aprii, dovevo prendere aria.
-Satoru non so di cosa tu stia parlando-
-Ah non lo sai? Allora dimmi, un giorno d'inverno di cinque anni fa tu non sei andata a casa di Geto forse?-
-No- mi disse con voce tremante.
-No? Ne sei sicura?-
-Satoru, io-
-Ti ho fatto una domanda Utahime, sei andata o no a casa di Geto?-
-Io non- si fermò, nonostante fosse dietro le mie spalle avevo la piena certezza che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all'altro. Ma la compassione quel giorno la lasciai a qualcun altro, dentro di me avevo solo delusione e rabbia.
-È una domanda semplice- la invitai così a continuare, ma non parlava.

La sentii singhiozzare poi contai fino a tre.
Uno.
Due.
Tre.
Mi girai di scatto, facendo cadere a terra una boccetta in vetro di profumo che si frantumò in mille pezzi, tutti il liquido sul pavimento.
-Utahime cazzo! Basta mentire! Non mi importa se piangi, mi importa solo della verità-
-Non posso dirtela la verità!-
Avevo occhi infuocati, viso in fiamme, ero pronto a tirarle fuori ogni cosa fin dal principio.

-No mi sa che non hai capito, ora tu mi dici tutta la verità o giuro su Dio- stavo per continuare poi mi interruppe -Giuro su Dio cosa? Giuro su Dio cosa, eh?- mi domandò lei tra un singhiozzo e l'altro -Che vuoi fare? Vuoi torturarmi affinché io ti dica la verità? Voi del clan Gojo siete capaci a far parlare le persone solo attraverso questi metodi vili, sei proprio come tuo- si interruppe quando presi una tazza di tè che se ne stava sul davanzale e la frantumai contro il muro dietro il suo letto. La lanciai come se avessi il diavolo in corpo.

-Dillo, dillo se hai il coraggio, dimmi che sono un bastardo come mio padre, non aspetto altro- le intimai allargando le braccia, invitandola a continuare la frase.

Il mio clan era conosciuto per essere un clan di carnefici, di assassini e mercenari. Mio padre in primis usava stratagemmi come la tortura per estorcere informazioni o denaro alle persone. Quando morì ad Edo furono tutti ben contenti della sua scomparsa, si sentivano tutti al sicuro perché sapevano che io non ero come lui, che avevo preso solo il meglio della mia famiglia e non uno stupido soprannome da mercenario. Ma evidentemente Utahime non aveva questa concezione di me.

-Tu, tu sei andata a casa di Geto- le dissi puntandole un dito contro -Gli hai detto che sua madre si è suicidata, o vuoi negare anche questo? Come cazzo fai a sapere tutto ciò? Perché se vogliamo parlare di figli di puttana possiamo parlare di tuo padre-
Mi gettó addosso l'unica cosa che aveva a portata di mano, ovvero un cuscino che presi al volo e lasciai cadere a terra.
-Ritira quello che hai detto, non ti permetto di infangare il nome del mio clan in casa mia!- sbraitò alzandosi di colpo dal materasso con gli occhi rossi per il pianto, il viso rigato dalle lacrime e le guance bordeaux.
-Chi è stato a ucciderla? Eh? Se vuoi puoi far passare Geto per stolto, ma non me, conosco la tua famiglia, conosco quanto viscidi possiate essere-

Anche la famiglia di Utahime aveva una pessima reputazione. Erano colmi di debiti, suo padre era un ubriacone che sperperava la sua ricchezza ovunque, che poi tanto sua non era, perché il nome del clan l'aveva costruito la madre di Iori, non sicuramente lui.

-Ho giurato che non avrei più parlato di questa storia con nessuno- disse lei avvicinandosi lentamente a me.
-Se mi fregasse di meno del tuo giuramento a quest'ora sarei morto, adesso voglio la verità, l'ha uccisa quell'ubriacone di merda di tuo padre? Perché che andasse a puttane lo sa tutta Edo-
Non ebbi quasi il tempo di terminare la frase che mi arrivo un sonoro schiaffo in pieno volto con una furia che non le avevo mai visto in corpo.
Mi girai lentamente con la mano sulla guancia rossa.
-Sciacquati la bocca quando parli di mio padre-

Si voltò di scatto e forse per non infangare quello che per lei era il suo eroe mi disse -L'ho uccisa io la prostituta, quella notte-
Non so quanto questo fosse vero, tutt'ora non lo so, ma in quel momento le credetti.
-Ho saputo dopo che avesse dei figli, fu Shoko a dirmelo, è stata lei a sbarazzarsi del corpo. Così ho inventato a Geto quella balla, dovevo uscirne con le mani pulite-
Provavo ancora troppo rispetto per lei per far emergere in me quel lato di mio padre che tenevo nascosto, che rifiutavo di avere, il lato del clan Gojo che mi avrebbe fatto diventare un assassino. Mi limitai così a stringere i pugni.

-Aveva una relazione con mio padre ormai da anni e quando mia madre lo scoprí voleva lasciarlo- sospirò -Avrebbe mandato all'aria tutto, la mia famiglia, la mia vita, tutto. Così quando la sorpresi nella camera di mio padre una notte presi un coltello, glielo ficcai dritto nella schiena, poi di quella notte non ho più ricordi, ho un vuoto-

Indietreggiavo, piano, verso la porta d'uscita mentre con il cuore in gola cercavo di riconoscere quella ragazza che in quel momento ai miei occhi risultava essere un mostro.
Misi la mano sulla maniglia.
-Dissi a Geto che si era suicidata e avevo trovato il suo corpo sotto ad un balcone, nessuno ad oggi sa di questa storia-
Si girò, di scatto, mi guardò dritto negli occhi.
-Ora vattene, non farti vedere mai più-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now