capitolo dodicesimo

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Mia madre se ne stava in piedi davanti al dipinto, senza muoversi. La tela era conclusa in parte sulla sinistra, mentre a destra era totalmente spoglia, totalmente bianca.
Io stavo dietro di lei, con le mani nascoste dalla mia schiena, il busto eretto. Accanto a me Geto aveva copiato la mia stessa posizione, puntando lo sguardo fisso sulla donna davanti a lui e tenendo saldo un pennello tra le dita.

-Che significa tutto questo?- sussurró fuori dai denti mia madre, la quale si voltò leggermente per potermi osservare con la coda dell'occhio.
-Dov'è Utahime?- mi domandò ancora prima che riuscissi a risponderle.
-Abbiamo avuto una discussione, cinque giorni fa-
Sí, perché erano passati cinque giorni da quella litigata, quattro giorni da quando rischiai di baciare il pittore, tre, due ed un giorno da quando capii quanto io lo desiderassi.
Non lo vidi più dopo quel pomeriggio, dopo che me ne andai da casa sua. Non si recò da me per continuare il dipinto, e nemmeno Utahime.
Forse lui per paura di ciò che sarebbe potuto accadere tra noi, lei, per paura di me.

Avevo passato le serate ad osservare quel quadro frutto di un amore costruito da qualcun altro, fasullo come un pagliaccio. Ho pensato svariate volte di strapparlo e gettarlo a terra, o meglio ancora di bruciarlo, ma poi pensavo a quante ore Geto avesse passato a perfezionarlo, quindi mi rifiutai di farlo.

-Manca una settimana Satoru, una settimana al ballo, e questo è quello che vedo dopo essere rincasata dal mio viaggio?-
-Si- le risposi seccamente -È tutto qui-
Si voltò di scatto, puntando il suo sguardo feroce nel mio, poi si incamminò a grandi falcate verso di me, tenendo il vestito leggermente sollevato da terra con la mano destra.
Si fermò a qualche centimetro dal mio busto, era molto più bassa di quanto me la ricordassi, nonostante fossero passate solo due settimane dal giorno in cui se ne andò mi sembrava fosse trascorsa una vita.
-Il tuo vestito è pronto perlomeno?- mi domandò digrignando i denti.
-No, non lo è-
-E perché?-
-Non sono più venuto a conoscenza dei dettagli aggiuntivi all'abito di Utahime- sentenziai io alzando le spalle -E questo è dovuto a cosa?- continuò mia madre rossa in volto. Stavo contando i secondi prima che mi tirasse uno schiaffo in pieno volto. Ciò che mi faceva soffrire di più era che Geto avrebbe dovuto assistere alla mia umiliazione accanto a me, senza dire una parola.

-Non lo so, provate a domandarlo a lei-
-Sei tu mio figlio Satoru, sei tu a dovermi dare delle spiegazioni, lei ha dei genitori a cui rispondere- esclamó puntandomi un dito contro.
Non risposi.
-Allora? Perché niente di quello che avevo programmato durante la mia assenza è andato secondo i piani?-
-Ve l'ho detto- dissi nuovamente io -Abbiamo avuto una discussione-
-Questo non significa che la sua sarta non possa dire al tuo le novità del suo abito-
-Magari non è più intenzionata ad avermi come accompagnatore al suo- stavo per terminare la frase quando uno schiaffo mi fece spostare leggermente a sinistra, verso di lui. Potevo sentire il suo sguardo colpevole sul collo.
-Non dire certe cose in casa mia Satoru, lei ti avrà come accompagnatore, litigio o non litigio-
-Se vi dicessi il motivo della nostra discussione magari capireste-
-Perché se io ti chiedessi di dirmelo, tu me lo diresti?-
-Si, lo farei-

Si voltò ed iniziò a camminare verso il dipinto non ancora concluso -Allora dimmi, che è successo mentre io non ero qui?-
Mi avvicinai a lei, da dietro, ed osservai anche io il quadro. Stava uscendo incredibilmente bene.
-Non qui- sussurrai -Non mi va di dirla davanti a lui-
-No invece voglio che tu lo dica qui- esclamó girandosi verso di me, prima di tirarmi una piccola spinta che mi fece indietreggiare fino al pittore -È stata colpa del vostro litigio se Geto non ha potuto continuare il dipinto, quindi parla-

Lo guardai, lui mi fissò dritto negli occhi, poi scosse lievemente la testa. Non voleva sapere, non voleva conoscere la verità di ciò che era successo a sua madre, una verità che infondo anche lui conosceva, ma che rifiutava di ascoltare, di pensare.
-Mi dispiace- sussurrai a voce bassa a pochi passi da lui. La tensione era alle stelle, l'ansia e la paura gravava sulle mie spalle come un macigno. Lui mi sentí, poi lessi il suo labiale -Non è stata colpa tua-

ikigai || satosuguOù les histoires vivent. Découvrez maintenant