capitolo quarto

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Quando Utahime era giunta a casa mia, io non mi trovavo lì.
L'orario prefissato da mia madre per l'inizio del dipinto, per intenderci qualche giorno dopo la mia visita a casa della mia futura moglie, era previsto per le tre, orario in cui lei non era in casa e in cui io mi dilettavo con il tiro con l'arco.
Mia madre non si era degnata di dirmi molto a riguardo, ma mi aveva solo accennato qualcosa rispetto al regalo di compleanno e all'orario previsto, nulla di più nulla di meno.

Nonostante fossi nei miei giardini che danno sul retro della casa non sentii la carrozza di Utahime arrivare, così come non udii il pittore.
Avevo giurato a me stesso che avrei passato solo dieci minuti in quel luogo, dalle tre di pomeriggio fino alle tre e dieci, ma quando alzai gli occhi al cielo, capii che erano passati più di quei pochi minuti.
All'incirca saranno state le quattro.

Abbandonai la mia postazione per dirigermi in casa.
Quando entrai dalla porta sul retro del salotto vidi Utahime seduta sul divano centrale ed un ragazzo seduto su uno sgabello in legno davanti ad una tela completamente bianca.
Non appena sentirono la porta aprirsi si girarono entrambi di scatto. La ragazza dai capelli violacei con un sorriso in volto, il ragazzo dalla chioma nera raccolta in una crocchia con un'espressione quasi di disprezzo.
Sapevo di essere arrivato in ritardo ma quelli erano gli unici momenti della giornata in cui potevo vivere veramente. Quando mia madre non era in casa.

Utahime venne verso di me -Satoru! Ho visto che stavi tirando con l'arco, non volevo interromperti- mi disse abbracciandomi. Ricambiai la stretta abbassandomi a causa della sua bassa statura, ancora con l'arco in mano.
Lo poggiai sulla colonna in legno che sosteneva la casa, andando a posizionare lì vicino anche la faretra con le frecce.
-Avresti dovuto, sai che perdo la cognizione del tempo quando tiro con l'arco- le risposi posandole una mano sulla schiena.
Ero tutto sudato, sporco, vestito sportivo, mentre lei era elegante, con una tunica verde acqua, il suo colore preferito, delle scarpe panna, la benda attorno alla vita del medesimo colore e i capelli raccolti. Indossava l'anello di mia nonna.

-Avrebbe dovuto, già-
Una voce dal fondo della stanza distolse la mia attenzione da Utahime.
Il ragazzo dallo sguardo inferocito si era ora alzato dal suo sgabello per dirigersi verso di noi.
Era poco più basso di me, i capelli lunghi, un ciuffo che gli cadeva davanti al volto e due profondi occhi scuri.
Quando lo guardai dritto nelle pupille sentii qualcosa muoversi dentro di me. Mi sembrava di essere nella morsa di un serpente pronto a conficcarmi i suoi denti nel collo e a spruzzare veleno per atterrarmi.

-Prego?- gli risposi io notando il tono scortese con il quale si era appena rivolto a noi.
Non mi piaceva giocare la carta dell'uomo dell'alta aristocrazia che si crede migliore della plebe, ma non tolleravo le mancanze di rispetto soprattutto davanti ad Utahime.
-Ho detto che avrebbe dovuto interrompervi- continuó lui come se non avesse notato il mio tono infastidito. Forse perché il suo risultava esserlo di gran lunga più del mio.
-E voi chi sareste per dire ciò?-
-Io sarei il pittore che ha solamente due settimane di tempo per dipingervi, se non vi dispiace non tollero il ritardo-
Faceva sul serio?
-Dal momento che sono io a pagarvi per il vostro servizio, non penso sia il caso di lamentarvi per il mio ritardo-

Porsi un braccio davanti ad Utahime e mentre lei indietreggiava per lasciarci al nostro confronto io avanzavo verso di lui, fino a ritrovarmelo faccia a faccia. Potevo sentire il suo respiro diventare sempre più pesante. Era imbestialito.
-È vostra madre a pagarmi-
Spalancai gli occhi -Dirò a mia madre di pagarvi quest'ora "sprecata" ad attendermi allora-
Mia madre aveva scelto come pittore un insolente che non portava rispetto per i suoi superiori.

-Non mi sto lamentando per elemosinare denaro in più, mi sto lamentando perché una cosa che vostra madre non può darmi è il tempo sprecato ad attendervi- rispose lui mettendosi le mani in tasca, prima di indietreggiare e dirigersi verso la sua enorme tela bianca.
-Vorrà dire che ve ne farete una ragione e dipingerete più velocemente- gli risposi io in tutta risposta.
Lui mi guardó con la coda dell'occhio prima, poi voltò il capo.
-Volete un dipinto degno di nota o uno scarabocchio? Perché se l'opzione che andrete a scegliere è la seconda potete anche disegnare da solo-

Per un attimo vidi tutto nero.
Nessuno mai, da quando ero nato, appartenente ad una classe inferiore, pari, o superiore alla mia si era rivolto a me con tale arroganza e zero rispetto. Nemmeno mia madre, colei che avevo iniziato a considerare mia nemica, mi aveva mai mancato di rispetto in quella maniera, come quel pittore fece in quel momento.
Penso che Utahime lo capí dal modo in cui mi diressi verso di lui senza attendere, perché mi si piantò davanti con entrambe le braccia spalancate. Mi guardò dritto in quegli occhi che non la spaventarono nemmeno in quel momento, seria, poi scosse il capo -Satoru, datti una calmata-

Guardai lei, poi guardai lui.
Aveva quel ghigno in faccia che gli avrei voluto togliere a suon di pugni. Ma non mi potevo abbassare al livello di un attaccabrighe della plebe.
-Credi di essere l'artista più bravo presente ad Edo?-
Avevo smesso con i convenevoli, avevo smesso di rivolgermi a lui dandogli del "voi", il mio rispetto lo hanno solo le persone che se lo guadagnano e quel giorno la nostra relazione era iniziata con il piede sbagliato.

-Non lo credo, lo sono-
-Vorrà dire che a dipingere me e la mia futura sposa non sarà l'artista migliore di Edo-
Utahime spalancó gli occhi mentre lui mi guardò con indifferenza.
-Ti chiami Geto, no?-
Annuí. -Geto Suguru, al servizio di Gojo Satoru- lo disse quasi con tono dispregiativo, un po' ironico, mettendo in scena un inchino che nemmeno nelle peggiori corti una donzella avrebbe fatto.
-Ok Geto Suguru, fuori da casa mia, ora, sei assolto da tuo incarico-

-Satoru, non scherzare, tua madre- cercó di dire Utahime, ma la fermai prima -Non mi importa di mia madre, non voglio vederlo in casa mia-
Quella fu l'unica volta in vita mia in cui vidi la mia donna spaventata da me. Avevo lo sguardo in fiamme mentre osservavo il ragazzo dai capelli neri andarsene dalla porta principale, abbandonando a loro stessi pennelli e tela nel mezzo del salotto.

Prima di chiudere dietro di sè la porta si girò un po', mi guardò dritto negli occhi, poi vidi la sua sagoma sparire.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now