capitolo ottavo

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Quella notte il maltempo si placò all'alba e ciò permise ad Utahime di raggiungere me e Geto a casa mia per proseguire con il dipinto.
Continuò imperterrito per quattro giorni come se niente e nessuno potesse distrarlo dal suo lavoro, poi come sempre esordiva con -Per oggi basta così- al calar del sole.

Mia madre era ancora lontana, d'altronde secondo le mie stime i sarti avrebbero dovuto ancora iniziare ad abbozzarle il vestito lungo i fianchi mentre noi proseguivamo con il disegno.
La sera dopo la tempesta Haibara lavorò fino a tarda notte al mio abito, aggiungendo la sfilza di sgargianti decorazioni che Utahime aveva aggiunto al suo.
Nemmeno il mio era ancora pronto, ma mancavano gli ultimi ritocchi affinché potessi definirmi soddisfatto.

Ogni sera chiedevo alla mia futura moglie di restare da me per la notte, l'idea di averla sulla strada anche se in carrozza dopo il calare del sole non mi entusiasmava, ma lei rispondeva sempre allo stesso modo, ovvero che era stanca e che voleva riposare.
A Geto non chiesi più nulla per quattro giorni. Non gli domandai più se volesse restare a cena da me o se volesse restare per passare la notte, non me ne diede quasi l'occasione.

Dopo ciò che accadde durante la tempesta, potei sentire nei suoi sguardi che fugacemente riuscivo ad incrociare quasi una sorta di paura.
Certo, se mia madre avesse saputo che aveva passato la notte a casa nostra avrebbe preso provvedimenti, ma nessuna delle sue vipere era presente in casa, nessuno avrebbe saputo nè detto nulla, ma avrei potuto giurare che si sentisse in colpa per essere rimasto da me quella notte.

Così, dopo che Utahime se ne andò a casa sua per l'ennesima serata di fila, mi convinsi a parlargli, o perlomeno a cercare di parlargli.
-Geto, vuoi-
Non mi diede il tempo di finire la frase -No- sentenziò solo fuori dai denti, mentre velocemente metteva i suoi soliti pennelli nella sua sacca poggiata a terra.
La sua risposta secca mi scosse a tal punto che mi vidi costretto ad avvicinarmi a lui.
-Non sai nemmeno cosa voglio dirti- gli dissi scherzoso allargando le braccia prima di portarle lungo i fianchi.
-So che volete chiedermi di restare a cena- disse lui sospirando -Ma non posso-
-Perché?-
-È sbagliato, io sono uno della plebe, uno di quelli che non contano, voi siete l'erede del clan Gojo ed avere in casa uno come me andrebbe a vostro svantaggio-
-Ma nessuno saprebbe nulla-

Voltò lentamente il capo, mentre si stava abbassando a terra per raccogliere la sua sacca.
-Volete mentire?-
-Chi ha mai parlato di mentire? Nessuno saprebbe che sei qui-
-E se lo scoprissero?-
-Non lo scopriranno-
-E se invece lo scoprissero?-
Lo guardai corrucciando le sopracciglia, confuso. I suoi occhi erano di ghiaccio mentre chino sul pavimento mi guardava dal basso verso l'alto. Aveva così terrore dei nobili? O aveva terrore di mia madre? Doveva esserci qualcosa sotto, ci avrei potuto scommettere.

-Se lo scoprissero, beh, allora mentirei-
-Non posso accettare, perdonatemi- disse scuotendo il capo prima di rimettersi in piedi.
Mi passò accanto e lo guardai per tutto il tempo. Non rivolse più gli occhi a me. Così lo bloccai, mentre si stava dirigendo verso la porta voltato di palle lo presi per un braccio, costringendolo a girarsi.
-Se non vuoi stare a casa mia non c'è problema, chi ha detto che dobbiamo restare qua?-
-Come prego?-
-Hai detto che sai andare a cavallo, no?-
-Si- rispose titubante -È così-
-Allora andiamo a fare una passeggiata a cavallo, così non devi avere timore di nulla-

Avrei giurato stesse per rifiutare, avrei giurato stesse per togliere il braccio dalla mia presa e voltarsi di nuovo, invece mi guardò, ancora una volta sospirando -Siete una bella gatta da pelare-
-È un si?-
-Perché no-

Feci sellare per lui uno dei miei due cavalli, quello bianco, poi presi una di quelle strade secondarie che solo la mia famiglia conosceva, ma non quelle che conducevano al paese, ma quelle che conducevano alla tenuta dove solo io, dalla morte di mio padre, avevo il coraggio di andare.
Ci incamminammo l'uno accanto all'altro, sul proprio cavallo, poi parlai per primo.
-Dove hai imparato a cavalcare?- non volevo la mia sembrasse una domanda domanda indiscreta ma ero sinceramente curioso di conoscere la risposta dato che di quei tempi erano poche le persone non appartenenti all'aristocrazia che sapevano andare a cavallo.
-Me lo insegnò mia madre quando ero piccolo- rispose con una punta di amaro in bocca.
-A me invece lo insegnò mio padre-
-Oh, io il mio non l'ho mai conosciuto-
-Mi dispiace- riuscii solo a rispondere con il volto rivolto verso l'alto, mentre osservavo la luna che si stava facendo sempre più alta in un cielo senza nuvole.

-Non dovete dispiacervi per me, non c'è problema-
Il silenzio era diventato assordante mentre imbarazzati ci stavamo dirigendo verso una destinazione a lui sconosciuta. Con la coda dell'occhio potevo osservare le veloci occhiate che mi lanciava, spostandosi la sua solita ciocca di capelli che gli cadeva sul volto e che svolazzava allo spostarsi del vento.
-Come mai avete insistito tanto?-
Mi voltai e lo guardai, con il capo letteralmente piegato ed un'espressione confusa in viso.
-A fare cosa?-
-A convincermi a venire con voi-
-Così, non ho molti amici e non esco mai con nessuno per una passeggiata a cavallo-

Gli scappò una risata che cercò subito di placare con una mano.
-Che c'è di divertente?- gli domandai anch'io con il
sorriso sulle labbra. Non era una cosa detta per sembrare simpatica, ma le sue risa riuscivano a smuovere un sorriso anche in me.
-No, perdonatemi, non rido per voi, ma per il fatto che non pensavo esistessero nobili senza amici-
-Vorrai scherzare! È il contrario se mai, non esistono nobili con amici- gli risposi evidenziando per bene il "con".
-Dite davvero?-
-Certo, vedi è molto strano, tutto un po' complicato, ma quello che vedi da fuori all'interno dell'aristocrazia non funziona così-

Mi voltai verso la strada davanti a noi per fargli cenno di proseguire verso la destra, così tirando le redini mi seguí.
-Per esempio, i genitori di Utahime e i miei si sono sempre definiti amici di lunga data, tutti coloro che ci circondano l'hanno sempre pensato, ma il loro è un rapporto dove una delle due famiglie deve trarne profitto-
-In che modo?-
-In ogni modo, se serve denaro in prestito ci sono l'una per l'altra o se c'è qualcuno in difficoltà , se accade qualcosa di scomodo ci sono per coprirsi a vicenda, e la faccenda si conclude lì, si tratta solo di affari-
-E il vostro matrimonio?-

Lo fulminai con lo sguardo, in una frazione di secondo portai i miei occhi sui suoi, come per farlo pentire della domanda che mi aveva appena posto, ma ricambió lo sguardo ancora più sicuro di prima.
-Il mio matrimonio non riguarda nulla con questo- mentii -Io amo Utahime- mentii ancora -È stata una decisione che entrambi abbiamo preso, nulla a che vedere con le nostre famiglie- mentii, mentii, mentii spudoratamente, infinitamente, con un tono che non avrebbe saputo convincere nemmeno il più stolto tra gli stolti. Lo sapevo che Geto non mi aveva creduto, ce l'aveva scritto in faccia.
"Io amo Utahime". Quella frase mi uscì quasi con ribrezzo, chi volevo prendere in giro? L'amavo sì, ma non come si ama una moglie.
Forse per paura, per rispetto o quant'altro, mi rispose solo -Infondo è giusto così-

Non aspettandomi quella risposta esordii con -Cosa?-
-Sposare chi si ama indipendentemente dalla famiglia, intendo-
Se fosse così facile non mi sarei ritrovato in quella situazione, ma che ne poteva sapere lui, si era abbeverato delle mie fandonie ed io mi ero ubriacato di tracotanza.

-E tu?-
Si voltò verso di me, mi guardò ed io arretrai il cavallo. Lui fece lo stesso.
-Io cosa?-
-Hai qualcuno da amare?-
Lo sentii inghiottire, buttare gli occhi altrove.
-No- mi rispose solo -Mai avuto-

Poi si rese conto di trovarsi davanti ad una proprietà nel bosco, con una tenuta estiva colma di alberi, un enorme giardino ed un viale ricco di fiori.
-È vostra?- mi domandò indicando davanti a se il piccolo palazzo.
-Si- risposi -O meglio, era di mio padre, prima che venisse a mancare insomma, veniva qui quando doveva cacciare-
-È un bel posto-
-Già, ora è abbandonato a se stesso, vengo io a tirare con l'arco quando mia madre è in casa ma nient'altro-
-Quasi dimenticavo che la nostra litigata scaturì per colpa del vostro arco-

Mi scappò una risata, seguita dalla sua.
-Sai anche tirare con l'arco oltre che a cavalcare?-
-Io? No, quello no, mia madre non aveva abbastanza soldi per iscrivermi alle lezioni quando ero piccolo-
-E ti piacerebbe imparare?-
Mi guardò, lo guardai, aveva gli occhi che sorridevano.
-Ad oggi non ho ancora abbastanza soldi-
-Non parlo di lezioni in accademia, posso insegnarti io-
-Prego?-
-Si, insomma guarda questo posto, è abbandonato da mesi, l'unica cosa che posso fare per farlo tornare in vita è tirare con l'arco, se in casa mia non vuoi venire se non per dipingere, potresti venire qui per imparare a tirare con l'arco-
"Di di si, ti prego, dí di si"
-Si!- esclamó sorridendo -Volentieri-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now