capitolo sedicesimo

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I giorni dopo il compleanno di Utahime, furono alcuni tra i peggiori della mia vita. Me ne sono stato chiuso in camera per interminabili ore senza voler vedere o senza voler parlare con nessuno. Mia madre credeva fossi malato e l'aveva fatto credere a tutta la servitù del palazzo, nessuno entrava nella mia stanza per paura di prendersi l'influenza.
L'unica persona che si interessò a me in quel periodo buio fu Utahime, la quale mi mandava quotidianamente lettere per sapere come stessi. Lei voleva vedermi davvero a differenza di tutte quelle persone di merda da cui ero circondato.

Mi invitava a uscire da camera mia, ad andare da lei per pranzo, a parlare di ciò che è successo con Suguru, con Shoko, a parlare di noi. Ma io non riuscivo, non riuscivo a fare nulla. Per tre giorni ho mangiato solo qualche frutto che ero costretto a buttare giù con la forza, avevo dormito si e no tre ore, avevo due occhiaie viola sotto il viso, il volto perennemente rigato dalle lacrime. Non riuscivo a guardarmi allo specchio, mi facevo schifo da solo.
L'unico che avrei voluto lì con me in quel momento, era lui.

Poi, d'un tratto, per la prima volta dopo 72 ore di insolazione, alla mia porta bussó qualcuno.
Nella mia testa bacata, dopo aver detto "avanti" speravo davvero di vedere un ragazzo dai capelli neri fare il suo ingresso, con il suo solito sorriso e le mani in tasca. Ma no, al suo posto entró la mia futura moglie.

Aveva un abito rosa, gli occhi gonfi, un sorriso triste e tra le mani teneva un cesto con della frutta e del sakè. -Ciao- sussurró leggermente con tono affranto.
-Ciao a te- risposi io senza ricambiare il sorriso.
Chiuse la porta dietro di sè, poi rimase ferma in mezzo alla stanza. -Posso sedermi?- mi domandò indicando il letto -Certo- risposi io annuendo.

Mi spostai leggermente sulla destra per poterle permettere di mettersi comoda lí. Poggiò il cesto sul mio comò, e poi mi poggiò una mano sulla gamba.
-Come stai?-
-Male- risposi secco -Tu?-
-Male-
Mi lasciai andare sul materasso, stendendomi a pancia in su per guadare il soffitto, tenevo le gambe per aria poggiate al muro.
-Devi uscire da qua Satoru, devi reagire-
-No, preferisco stare qui-
-Non puoi passare tutta la vita nella tua stanza- sospirò buttando la testa all'indietro per poggiarla al muro.
-Perché no? Qui perlomeno nessuno mi dice nulla-

Ci fu un attimo di silenzio, poi parló nuovamente.
-Gli hai scritto?- mi domandò guardandomi in faccia. -Scritto?- domandai io confuso, corrucciando le sopracciglia -Si insomma, a Geto-
-Suguru non sa leggere- le dissi io inspirando nervosamente.
Me l'aveva confessato una delle nostre poche notti passate assieme alla mia tenuta. Sua madre non aveva abbastanza soldi per permettergli un'istruzione quando era piccolo, quindi non gli diede la possibilità di imparare a leggere. Fu per questo che dopo la sua morte, fin da subito, si mise a lavorare, per poter racimolare soldi e garantire un'istruzione alle sue sorelle, non voleva diventassero come lui.
"L'unica cosa che mi riesce bene è dipingere" aveva detto poi.

-Oh, oh capisco- mugugnò Utahime.
-Tu?- le chiesi io poi.
-Io cosa?-
-Parli con Shoko?-
-Beh, se intendi per chiedermi come voglio i capelli o se il corsetto è troppo stretto, allora si, parliamo-
Quella frase procurò una piccola risata involontaria in me, era stata la prima persona che dopo tutto quel tempo era riuscita a strapparmi un sorriso.
-È mai successo qualcosa tra voi?- le domandai poggiando i gomiti sul materasso e tirando in su il busto.
-No, niente, non vorrei metterla nei guai, non so se mi spiego-
-Certo, posso capire-
-E tra voi?- mi domandò guardandomi negli occhi.
-Si, si più volte-
-Oh- esordì lei stupita -Wow-
-Ti aspettavo un no come risposta?-
-Si, cioè intendo non pensavo me lo avresti confessato così, senza problemi-

Mi alzai dal letto, scuotendo il capo.
Mi diressi poi verso il comó sopra il quale aveva poggiato la cesta poco prima. Presi in mano la bottiglia di sakè e poi me ne versai un po' nel bicchiere che avevo lì accatto. Al suo interno prima c'era dell'acqua.
-Perché?- le chiesi poggiandomi al muro con la spalla, gesticolando con in mano il bicchiere in ceramica.
-Per- si fermò un attimo, iniziando ad incrociare le dita l'una sull'altra -Per quella faccenda, ecco-
-È una questione che dovreste risolvere voi due, io non c'entro nulla-
-Ma tu ora mi odi-

Sospirai.
-Non ti odio Utahime, non riuscirei. Penso sinceramente però che tu abbia fatto l'errore più grande della tua vita, tutto qui-
-Non so cosa mi sia preso, quella notte- disse scuotendo il capo, dopo essersi messa entrambe le mani sul volto.
-Non sei venuta qui per parlare di questo, quindi non parliamone e basta, anche perché preferirei non sentire più nulla riguardo quella storia-
-Sono venuta per vedere come stessi, davvero, mi sento incredibilmente in colpa- disse girando il viso verso di me, guardandomi dal basso.

-Non è stata colpa tua, Utahime- le dissi iniziando ad avviarmi verso di lei. Andai a sedermi lì accanto, poggiandole una mano sulla coscia.
-L'hanno voluto loro, tu li hai solo accontentati-
-L'ho fatto per la mia immagine, per l'immagine della coppia, per non dare loro la soddisfazione di poter parlare di noi, capisci?-
-Si, si lo capisco perfettamente, speravo solo che lì fuori a guardarmi non ci fosse lui-

Immediatamente mi prese il volto tra le mani, mentre osservavo una lacrima rigarle il volto.
-Non puoi permetterti di perderlo-
La guardai corrucciando le sopracciglia, con espressione confusa -Non importa, ormai più nulla ha importanza, io devo sposare te, non lui-
-Ma tu non mi ami- mi disse in un soffio.
-Nemmeno tu mi ami, questo discorso l'abbiamo già fatto, ricordi? Il giorno in cui venni a chiederti del dipinto per il tuo compleanno-
Un piccolo sorriso le apparse sul volto -Si, me lo ricordo-
-E nulla è cambiato-
-Invece è cambiato qualcosa Satoru-
-Cosa?-
-Geto, questo è cambiato-

La stavo guardando in quegli occhi che luccicavano, osservando ogni sfaccettatura nella sua espressione triste -Non potrò mai stare con lui-
-E io non potrò mai stare con lei, ma questo non ti impedisce di andare da lui e scusarti-
-E poi? Che senso avrebbe se non- mi interruppe -Va da lui a basta, scusati, chiedigli di perdonarti, anche in ginocchio se necessario, tu tieni a lui e lui tiene a te, il resto non ha importanza- esclamó -A prescindere da cosa accadrà potrai dire di averci provato, ok?-
Non risposi. Mi scosse il capo -Ok?!-
-Ok si ok, lo farò, ma tu farai lo stesso-
-Ci proverò-

La presi sottobraccio e l'abbracciai.
Abbracciai la mia migliore amica

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now