capitolo ventitreesimo

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Quando mi svegliai di soppiatto la mattina, Suguru era sopra di me esattamente come si era addormentato quella notte. Non aprii gli occhi per il peso del suo bacino che spingeva contro il mio, nemmeno per il braccio sinistro che non mi sentivo più, ma per il rumore di passi fuori dall'abitazione.
Richiusi le palpebre per qualche secondo, pensando fosse un animale, magari un cinghiale o un cerbiatto che si aggirava solitamente lí vicino.
Ma avrei giurato che i passi che si abbattevano sull'erba fuori stante la mia abitazione, fossero di una persona.

-Suguru- sussurrai spingendogli leggermente la sua spalla con il dito sinistro, mentre i battiti del mio cuore iniziarono ad aumentare. Nessuno veniva in quel posto, mai.
-Suguru, svegliati- continuai sempre facendo scontrare il mio polpastrello contro la sua pelle.
Iniziò ad aprire lentamente le palpebre, mugugnando infastidito dalla luce del sole che entrava dalle finestre.
Mi guardò dal basso, con un'espressione confusa sul volto non appena vide il mio sguardo spaventato.
-Che c'è?- mi domandó con voce rauca.
-Ho sentito dei passi- gli dissi iniziando a muovermi all'interno di quella vasca troppo stretta per due, così anche lui si alzò di scatto.
-Dei passi?- mi chiese -Impossibile- concluse poi iniziando ad uscire dalla vasca, prima di dirigersi verso il lavabo per raccogliere i vestiti che aveva abbandonato a terra la notte prima. Quasi mi ero dimenticato che eravamo entrambi ancora nudi.
-Ti dico che ho sentito dei passi- insistetti dirigendomi verso di lui, dove ai suoi piedi c'erano anche i miei indumenti.
-E io ti dico che hai sicuramente sentito- stava per concludere la frase quando sentii la porta d'entrata della mia tenuta scricchiolare.

Lo guardai con occhi spalancati, lui ricambió l'occhiata con furtività mentre si stava rivestendo.
-Dov'è il mio arco?- gli chiesi con le mani che tremavano infilando prima una gamba e poi l'altra nei pantaloni.
-Il tuo arco? Che pensi di fare con l'arco? Scoccargli una freccia in faccia?- mi domandó quasi ironico spalancando le braccia, prima di mettersi davanti a me in direzione della porta.
-Quale sarebbe la tua idea? Tirargli un pugno?-
-Hai un'idea migliore?-
-Beh, no però-
-Però nulla, stai dietro-
-So difendermi da solo-
-Non ti fa male la schiena?-
"La schiena?" mi chiesi tra me e me confuso, prima di realizzare ciò che era successo la sera precedente e diventare rosso in volto.

-Satoru? Sei qui?-
Subito spostai Suguru con il braccio sinistro, ancora intendo a riallacciarmi la camicia.
-È Utahime- gli dissi aprendo la porta del bagno con tono basso.
La voce che aveva appena chiamato il mio nome, era palesemente quella di una donna. La mia donna.
Il ragazzo dai capelli neri mi bloccò prendendomi per un braccio, costringendomi a girarmi verso di lui. -Che vuoi fare? Uscire allo scoperto con me qui?- mi domandó spaventato.
-Ho visto il tuo cavallo legato qua fuori Satoru, so che sei qui- continuó la ragazza al piano di sotto a gran voce.
Mi liberai dalla sua presa -Non ti preoccupare, se è lei va tutto bene-

Mi avviai verso il corridoio che portava alla lunga scalinata che dava sul piano inferiore della tenuta, ritrovandomela lì davanti, pronta a salire le scale.
Quando mi vide si appese al corrimano -Grazie a Dio- sentenziò in un soffio, prima di lasciarsi cadere a terra. Quando la vidi accasciarsi sul pavimento corsi verso di lei, abbassandomi alla sua altezza in ginocchio.
-Che ci fai qui Utahime? Mi hai fatto prendere un colpo-
-Tu piuttosto che ci fai qui!?- mi domandó rabbiosa tirandomi una spinta che mi fece cadere a terra.
La guardai confuso.
-Che intendi? È la mia tenuta, è così strano che io sia qui?-
-Si, cioè no, non lo so, non sto più capendo nulla- mi disse tenendosi la testa con una mano poggiata sulla fronte.
-È successo qualcosa? Mi stai facendo preoccupare-
Lei sospiró, mettendosi a sedere sul primo gradino della scalinata, invitandomi a sedere accanto a lei.

-È stata tua madre a chiamarmi-
Alzai le sopracciglia, spalancando gli occhi e la bocca.
-Mia madre?- le chiesi confuso scuotendo il capo.
Lanciai una fugace occhiata dietro le mie spalle per vedere se Suguru fosse lì, ma non vedendolo, intuii fosse ancora nel bagno ad ascoltarci per paura di farsi vedere da lei. Per paura di incontrarla.
-Si- iniziò -È venuta a casa mia stamane furiosa, mi ha chiesto se ti trovassi da me e io chiaramente ho negato-
-E?- le domandai invitandola a continuare non capendo dove volesse arrivare.
-E non lo so, ha iniziato a parlare di Toji ma la mia mente stava solo pensando ad un posto in cui tu ti saresti potuto trovare stamattina, poi ho pensato tu potessi essere qui quindi ho chiesto indicazioni ad Haibara-
-Toji?- le chiesi in un sospiro, come se la sua frase si fosse interrotta solo a quel nome.
-Si, ha detto qualcosa del tipo che tu l'hai chiamato per fare del lavoro sporco che non ti riguardava-
-E poi?-
-Poi se n'è andata dicendo "appena capita sotto le mie grinfie io giuro che lo faccio impiccare", per questo sono corsa preoccupata da te, pensavo ti avesse fatto ammazzare-

Utahime sapeva di Toji, è sempre stato un espediente utilizzato dalla mia famiglia perciò, nonostante non lo avesse mai visto, grazie alle mie confessione sapeva di chi stesse parlando e della gravità delle cose che lui, sotto il mio comando, faceva di tanto in tanto.

-È stata colpa mia!-
Una voce dietro le nostre spalle invitò entrambi a girarci.
Suguru se ne stava con una mano poggiata lungo il corrimano, guardandoci dall'alto verso il basso con volto preoccupato, con espressione di sgomento.
Io scossi il capo invitandolo a tacere. Non era stata colpa sua, quello che era successo con Toji e Mahito era stata una decisione che avevo preso in totale autonomia. Non aveva nulla a che vedere con lui. E per la cronaca, meno Utahime sapeva, meglio era.
-Oh, scusate, n-non pensavo ci fossi anche tu- sentenziò subito la ragazza guardando prima me e poi lui, alzandosi di colpo imbarazzata.

Mi ricordai di punto in bianco ciò che era successo tra i due. I ricordi riaffiorarono alla mia mente nel momento esatto in cui lei pronuncio quelle parole, avviando un flusso nel mio cervello che mi fece tornare con i piedi per terra come se in quel momento mi fossi appena risvegliato da un lungo sogno che non avevo alcuna intenzione di lasciarmi alle spalle.
-No, non ti preoccupare, piuttosto continua quello che stavi dicendo, ti prego- le dissi prendole una mano, sentendo lo sguardo giudice del ragazzo dai capelli neri sul collo, il quale tra l'altro stava iniziando a scendere le scale per raggiungerci.
Lei continuava a guardarlo colpevole, incapace di dire nulla se non scuotere il capo con le lacrime agli occhi.
-Utahime- le dissi muovendole leggermente la mano che stavo tenendo, ma non notando alcun segno di vita sul suo volto esclamai -Utahime! Continua!- a gran voce per cercare un aiuto in lei.

-Scusami, cosa stavo dicendo?- mi domandò portando i suoi occhi su di me.
-Toji, che ti ha detto mia madre di Toji?-
-Solo quello che ti ho detto prima-
-Quello del lavoro sporco?-
-Esatto-
-Nient'altro?-
-Nient'altro-
Guardai Suguru, poi mi alzai.

-Devo tornare a casa- dissi rivolgendomi ad entrambi, prima di inghiottire sonoramente.
-Satoru- mi disse il ragazzo dai capelli neri scuotendo la testa lentamente, come per dirmi di non andarmene -Tua madre non verrebbe mai qui a cercarti- continuó con occhi sbarrati -Puoi stare qui-
-Non posso mica nascondermi per tutta la vita dentro questa tenuta- gli risposi alzando le spalle sorridendo, quasi per dargli conforto.

-Se mia madre dovesse uccidermi, sappiate entrambi che i miei fiori preferiti sono i tulipani blu, sulla mia tomba starebbero d'incanto-
Con quella frase mi girai, iniziando a correre veloce come il vento fuori da casa, senza voltarmi, facendo finta di non sentire le loro urla supplichevoli che gridavano il mio nome nella speranza di fermarmi.
Se mia madre avesse scoperto tutto su Toji, su Mahito, l'unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata proteggere Suguru da lei, dalla mia famiglia.
Non avrebbe potuto scoprire la verità su noi due, non avrebbe potuto scoprire nulla.
Dovevo solo correre e non guardarmi indietro.
Quel giorno d'estate, ho rischiato di morire per mano della donna che mi donò la vita.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now