capitolo sesto

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Il dipinto lo iniziammo due giorni dopo la mia visita a casa di Geto. Lavorò dalla mattina fino al tardo pomeriggio, senza staccare gli occhi da noi o dalla tela, senza bere o mangiare, dipinse ininterrottamente per ore. Nemmeno noi riuscimmo a convincerlo a lasciarci bere o mangiare qualcosa tanto che a fine giornata avevo lo stomaco che brontolava. Fu lui a darci il via libera.
-Per ora possiamo concludere qui il nostro lavoro- asserì alzandosi dallo sgabello in legno sul quale era seduto, ponendo i suoi occhi su di me.
-Vi ringrazio Geto- rispose Utahime con un piccolo sorriso sul volto. Mi alzai prima io di lei, ponendole un braccio per darsi una spinta. Non sembra ma stare seduti nella stessa posizione per ore può essere più doloroso che un allenamento intensivo al mattino.

-Vuoi restare qui a cena?- le domandai posando una mano sul suo avambraccio.
Mia madre era partita all'alba per un altro paese che distava circa due giorni di carrozza dal nostro per farsi cucire indosso il vestito per il compleanno di Utahime, perciò ad occhio e croce non sarebbe stata qui prima del termine del dipinto ed io avevo il palazzo tutto per me.
-No Satoru grazie ma preferisco tornare a casa, sono veramente stanca- mi rispose lei con due occhi che sembravano estenuati ed un sorriso tirato.
Alzai i bordi delle labbra e l'abbracciai.
-Non ti preoccupare, ci vediamo domani-
Le lasciai un piccolo bacio sulla fronte poi l'accompagnai alla porta di casa, dove ad attenderla c'era la sua carrozza da ormai un paio d'ore.

Quando la richiusi potei sentire gli occhi del pittore sul collo. Mi voltai, e quando se ne accorse distolse lo sguardo, continuando a mettere le sue tempere e i suoi pennelli nella sacca marrone che se ne stava sul pavimento.
Quasi imbarazzato mi disse -Vi dispiace se la tela la lascio qui da voi? Avete visto casa mia, non ci sarebbe spazio-
Mi mancó un battito.
-In più mi sa che sta per arrivare un temporale, se facessi bagnare il dipinto il lavoro di oggi andrebbe in fumo-

Lo guardai per un attimo mentre sistemava tutte le sue cose, poi guardai il pavimento. Mi avvicinai e mi inginocchiai. Presi un panno che se ne stava appoggiato sul camino alla parete portante dell'edificio, poi mi misi a pulire alcune macchie di vernice che se ne stavano sul marmo. Non me la sentii di fargli fare anche il lavoro sporco dopo tutto ciò che aveva fatto per noi quel giorno.

-Che fate? Lasciate, faccio io, ci mancherebbe!- esclamó quasi come se avessi fatto qualcosa di grave come uccidere una persona. Si abbassò abbandonando la sacca a terra accanto a me, prima di cercare di strapparmi il panno dalla mano. Io ritirai la mia insieme ad esso e potevo sentire il suo respiro davanti a me.
-Continua pure a mettere a posto le tue cose, qui me ne occupo io-
Mi guardava confuso, con occhi stanchi, nocche e polpastrelli rossi, pittura sul volto e vestiti tutti sporchi. Mi faceva una compassione inaudita.
-Puoi lasciare qui la tela comunque, non la toccherà nessuno-

Quando finii di pulire a terra e mi alzai, lo vidi andare verso la stessa porta dalla quale Utahime era uscita precedentemente, senza avere però una carrozza ad attenderlo, più o meno pronto a camminare per i prossimi quaranta minuti verso il paese. Fui incapace di lasciarlo andare.
-Geto- esclamai in un attimo fugace che avrei voluto rimangiarmi. Mi morsicai il labbro, ormai avevo parlato.
Lui si girò e con quei suoi scuri occhi stanchi guardò i miei chiari e vispi. Inclinò di un poco il capo.
-Si?-
Era fatta.
-Ti andrebbe di passare qui la notte?-

Mi guardò come fossi un blasfemo, come se avessi appena bestemmiato o come se lo avessi appena insultato. Aprí al massimo le palpebre ed iniziò a grattarsi il capo.
Quel ragazzo spavaldo e sprovveduto che avevo incontrato giorni prima di punto in bianco era diventato un cane bastonato che si stava man mano chiudendo in se stesso.
-Non penso di poter accettare, signor Gojo- mi disse a voce bassa continuando a mantenere il contatto visivo.

Allungai una mano verso di lui -Insisto Geto, hai lavorato tanto oggi e non me la sento affatto di farti tornare a casa da solo con il rischio di prendere la pioggia e a stomaco vuoto-
Lui sorrise d'istinto -Ho un ombrello- mi rispose indicando quello che se ne stava poggiato al portone di casa mia.

Anche a me scappó una piccola risata -Fa niente, ombrello o non ombrello non hai mangiato nulla-
-Sono abituato- mi rispose alzando le spalle.
No, non lo avrei lasciato andare.
Mi avvicinai a quella porta che stava per aprire e gliela richiusi dietro le spalle, ancora una volta potevo sentire il suo respiro sul mio volto.
-Stai qui almeno a cena, poi scegli tu se andartene o no, sono a casa solo tanto, mia madre non ci sarà per almeno due settimane-
Mi guardò, lo guardai, e si mise a ridere.
-Che hai da ridere?-
-Vi siete sporcato la camicia, con i pennelli-

Guardai verso il basso e notai un dettaglio che prima non avevo visto. Geto aveva sempre avuto in mano due pennelli sporchi, uno di vernice bianca e l'altro di vernice nera e nello sporgermi per chiudere la porta li presi dentro in pieno.

-Oh merda!- esclamai ripercorrendo i miei passi fino al centro del salotto, tra le risate del pittore e il mio sguardo impaurito mentre osservavo la camicia.
-Come faccio ora a pulirla? Era la mia preferita!-
-Non siete capace a lavare una camicia? È pittura, viene via, anche se con un po' di fatica, ma viene pur sempre via- mi disse lui questa volta con fare spavaldo venendo verso di me.

Toccò la camicia, notando la pittura non ancora asciutta su di essa, mentre io osservavo solo le sue dita muoversi.
-Accetto- mi disse poi andando ad appoggiare la sua sacca accanto al divano.
-Accetto cosa?-
-Accetto di restare qui a cena da voi, ma solo perché devo lavarvi la camicia- mi disse ancora con quel sorriso sul volto.
-E per la notte?-
-Per la notte deciderò dopo, in base al tempo, ora toglietevi la camicia, vi insegno a lavarla-

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now