capitolo diciassettesimo

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Me ne stavo sulla soglia di quella piccola porta in legno con una mano in tasca, l'altra ad allargare il colletto della mia camicia. Stavo sudando freddo, avevo il cuore a mille e la paura di ritrovarmi una porta sbattuta dritta sul naso mi faceva tremare al solo pensiero.
Non avevo portato fiori, non avevo portato niente, solo me stesso e le mie scuse. Poi mi decisi a bussare.

Ogni secondo che passai lì ad attendere che qualcuno mi aprisse, che lui si presentasse davanti a me, era un battito cardiaco in più che perdevo. Finché effettivamente qualcuno aprí la porta. Era un ragazzo alto, piuttosto pallido, con dei lunghi capelli grigi e due occhi di colore diverso, vestito di stracci.
Era casa di Geto, non potevo essermi sbagliato.
-Posso aiutarti?- mi disse con tono serio, portandosi una mano in tasca, mantenendone sempre una sulla maniglia.
-Si, uhm salve, buongiorno, ecco io stavo cercando Geto- gli dissi sorridendo leggermente, iniziando ad agitarmi. Chi era quel tipo? Non l'avevo mai visto prima.

-Si, lui non è in casa al momento- mi rispose alzando le spalle, iniziando a guardare dietro le mie per vedere se ci fosse qualcuno. Aveva lo sguardo di una persona che voleva me ne andassi all'istante.
-Sapresti dirmi per caso quando posso passare per parlargli?- gli domandai sempre io con il mio piccolo sorriso sul volto, estraendo le mani dalle tasche per congiungerle a mo' di preghiera.
-No- mi rispose secco, prima di indietreggiare e richiudere davanti a lui la porta.
Subito misi un piede tra quest'ultima e la parete, poggiando la mano su essa per aprirla nuovamente.
-Ecco vedi- gli feci un gesto con la mano, alzando le sopracciglia per invitarlo a dirmi il suo nome.
-Mahito- sentenziò scuotendo il capo con indifferenza.
-Mahito, grazie- sospirai -Ecco Mahito, sono qui perché sono un po' preoccupato per lui e se non mi dici quando posso trovarlo in casa non so quando tornare, capisci?-
-Perché preoccupato?- mi domandò corrucciando le sopracciglia -Sono successe certe cose e- stavo per finire la frase, poi una bambina dal fondo della stanza esclamó -Gojo!- indicando la mia figura dietro quella del ragazzo che avevo davanti.

-Ciao Nanako- risposi io alzando leggermente la mano per salutarla e subito lei si avvicinò a noi.
-Lo conosci, Nanako?- le domandò il giovane sulla soglia della porta con me, prima di alzarla per prenderla in braccio. Magari era un suo parente, per esempio un cugino.
-Si, è un amico del fratellone-
Mahito mi squadrò dall'alto verso il basso, tre volte. -Ah si?- sentenziò poi stupito, piegando leggermente il capo.
-Una specie- risposi io grattandomi il retro della nuca.
-Mh, strano- continuò alzando leggermente la bambina che teneva seduta sul braccio destro per evitare di farla cadere.
-Strano cosa?-
-Geto non mi ha mai parlato di te- mi disse con tono spavaldo iniziando a scuotere il capo. Mi stava sfidando?
-Beh, se è per questo, nemmeno a me ha mai parlato di te-
-Come?- mi domandò lui con tono ironico, lasciandosi scappare una piccola risata. Mi stava trattando come un mendicante che si era presentato alla sua porta per ricevere carità.
-Oh, allora mi presento, sono l'ex ragazzo di Geto-

Spalancai gli occhi, la gola iniziò a seccarsi, non avevo più saliva, non stavo sudando nemmeno più. Mi iniziarono a prudere le mani che immediatamente portai chiuse a pugno lungo i fianchi. Ex ragazzo? Che ci faceva il suo ex ragazzo in casa sua?
Indietreggiai leggermente, se fossi stato ancora lì così attaccato a lui gli avrei sferrato un pugno in pieno volto.
-Di certo venendo qui non mi sarei aspettato di trovare qui una persona che tempo fa stava con lui, non volevo disturbare-
-Tempo fa è fin troppo remoto- sentenziò gesticolando con un mano -Ci siamo lasciati da poco-
-Da poco?- gli domandai alzando le sopracciglia. Avevo un'espressione isterica sul volto. In quel momento mi sarei tranquillizzato solo se gli avessi tirato un pugno, davvero.

-Si, circa due settimane fa-
Feci un veloce calcolo, due settimane. Due settimane significava che io e Suguru ci conoscevamo già, due settimane era indicativamente quando era venuto alla mia tenuta la prima volta. O forse no. Non lo so. Avevo la mente offuscata, non stavo più capendo nulla, vedevo nero. Nero come la prima volta che litigai con Geto. No, anzi. Nero come non avevo mai visto prima. Forse mi stavo anche per mettere a piangere, non mi ricordo, tutto di quell'incontro mi risulta essere confuso.
Mi aveva mentito? No, no non era possibile, no.
-Oh-
-Ma prima di che preoccupazione stavi parlando?- mi domandò facendomi tornare con i piedi per terra, più o meno.
-Preoccupazione?- gli domandai confuso.
-Si, l'hai detto tu, no? Che sei venuto qui perché eri preoccupato per lui-
-Bazzecole!- esclamai istericamente battendomi una mano lungo la gamba -Non era nulla!-
-Beh, se sei venuto fin qui tutto agghindato per parlare con lui, non credo fosse una cosa da nulla-
-Agghindato?- gli domandai corrucciando le sopracciglia.
-Si, cioè guarda come sei vestito-
Abbassai gli occhi. Indossavo una camicia di lino, molto leggera, un paio di pantaloni neri in tessuto abbastanza stretti e degli stivali per cavalcare.
-Mi vesto così tutti i giorni- gli risposi alzando le spalle.
-Oh quindi sei ricco?-

Perché mi stava facendo tutte quelle domande? E io perché gli stavo rispondendo? Volevo solo vedere Geto, non Mahito.
-Forse è meglio che io vada ora- gli dissi battendo le mani l'una sull'altra, iniziando ad indietreggiare.
-Si già-
-È stato un piacere- sentenziai io, prima che mi sbattesse la porta in faccia.

Che stavo facendo della mia vita? Stavo inseguendo disperatamente un ragazzo che per la convenzione etica del tempo non avrei mai potuto sposare, un ragazzo che la mia famiglia avrebbe ripudiato, un ragazzo che a casa sua portava una persona che aveva una storia con lui fino a due settimane prima.
Io e lui ci conoscevamo già e lui mi aveva mentito. Non mi aveva mai parlato di questo Mahito.
E se ci fosse ancora qualcosa? Se ci fosse stato anche quando ci siamo baciati la prima volta, la seconda, la terza, tutte le sere in cui ci siamo visti, ci siamo amati.

Mi aveva detto che credeva di amarmi, allora che significava a tutto questo?

Presi il cavallo che avevo precedentemente lasciato accanto a casa sua e galoppando mi diressi verso la mia proprietà.
L'unico modo per sfogarmi in quel momento sarebbe stato con il mio arco. Perciò la mia intenzione era quella di andare al mio palazzo, prenderlo ed andare verso la mia tenuta, velocemente, e di chiudermi lì il più a lungo possibile.

ikigai || satosuguWhere stories live. Discover now