[CAPITOLO 14]

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BOSNIA

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BOSNIA

4 Agosto 1997



Diana, principessa del Galles, era partita da qualche giorno per dirigersi a Bosnia, in quel paese all'epoca era governata da una minaccia, le mine antiuomo, una piccola bomba esplosiva che veniva posizionata sottoterra.
E la principessa, amante e madre dei diritti umani e di pace, andò proprio lì, in Bosnia, cercando di essere di aiuto verso il prossimo.

Mesi prima conobbe un uomo, Ken Rutherford, aveva perso entrambe le gambe a causa dell'esplosione di una mina, conobbe Diana durante una cena, lei ascoltò attentamente la storia della vittima e aveva promesso che sarebbe ritornata se avessero avuto bisogno di aiuto.

E lei mantenne la promessa.

Fu richiamata poco dopo, da due anni era finita la guerra civile, ma le mine antiuomo non smisero di creare terrore nel paese.
Quelle piccole bombe nascoste sotto la terra, aveva ucciso almeno ottanta persone al mese tra cui anche bambini, di cui la percentuale era altissima. Quando venne chiamata, Diana accettò immediatamente. Il governo inglese provò a dissuaderla. Il viaggio era potenzialmente pericoloso. Ma lei aveva deciso esplicitamente di andare «Scordatevelo» disse «Ci andrò. Non ditemi cosa devo fare. Andrò da privata cittadina» Diana, con lo spirito ribelle, non ebbe alcun timore di dirigersi lì, con la consapevolezza che quelle armi erano ancora in vigore non si diede per vita, volò dritta in Bosnia a dare aiuto ai cittadini e alle vittime nonostante la disapprovazione del governo inglese.

Paul Burrel, maggiordomo e intimo amico della principessa, l'accompagnò, per il viaggio utilizzarono un elicottero degli Al Fayed.
Con sé portava per la prima volta un telefono satellitare, un gioiellino tecnologico che Dodi le aveva regalato perché potessero tenersi sempre in contatto.

In quell'angolo martoriato dei Balcani la principessa incontrò feriti e familiari delle vittime, delle varie religioni ed etnie. Il carattere "privato" della visita le evitò di ritrovarsi faccia a faccia con la presidente della Croce rossa serba, Mira Marcovic, moglie di Slobodan Milosevic, il leader di Belgrado accusato di crimini contro l'umanità per la pulizia etnica condotta dall'esercito jugoslavo contro i musulmani della Croazia, della Bosnia e del Kosovo.

Diana era semplice e bellissima, era vestita con jeans lunghi scuri, e una camicetta rosa.
Lei ascoltava, abbracciava, dava amore alle persone bisognose, per questo la gente l'amavano.
L'amavano perché era una di loro.
L'amavano per il suo stato di essere così buona, di mostrare l'affetto senza mettere filtri.
E lei era così.
Senza filtri.
E non aveva paura di nessuno.
Era come un angelo scesa dal cielo.

La jeep su cui viaggiavano scendevano dalle colline.
Diana controllava il telefono e non aveva ancora ricevuto nessuna chiamata, come se stesse aspettando che qualcuno la chiamasse.
«Non c'è tempo per coinvolgere gli americani Oslo è l'ultima conferenza prima del Trattato di Ottawa [1*] .» disse Lord Deedes, un amico della principessa.
«Ma la firma dell'America sarebbe fondamentale.» intervenne Diana.
«Ci sono troppi punti spinosi.»
«In realtà sono solo tre: deroga per il confine tra Corea del Nord e del sud, rinvio per l'entrata in vigore del trattato, e il problema delle mine intelligenti.» puntualizzò la principessa.
«Mine intelligenti?» domandò Paul con tono interrogativo.
«Durano sette anni e poi si distruggono.» sintetizzò la bionda.
«Significa ridefinire il concetto di mine antiuomo.» intervenne poi Lord Deedes.

 𝐓𝐑𝐄𝐀𝐓𝐌𝐄𝐍𝐓  Volume IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora