Diamond 5

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A differenza delle altre malattie,
la vita è sempre mortale.
Non sopporta cure.
Italo Svevo

Guardai fuori dalla finestra, come mi aveva detto lo psichiatra, diversi uomini si distribuirono sull'area circostante la villa.

Decisi di concedermi una doccia. Lo psichiatra mi assicurò che nessuno di loro avrebbe varcato la soglia della villa, limitandosi a sorvegliare l'area durante la sua assenza.

Regolai il flusso d'acqua, portando la temperatura al massimo. Ogni goccia che scendeva sul mio corpo era come un piccolo ago, che, velocemente, tentava di costringermi ad allontanarmi. Mi posizionai al centro e lasciai che l'acqua bollente scorresse su di me.

La mia pelle arrossì, implorando pietà, chiedendo protezione da una eventuale ustione.

E mentre il mio corpo lottava per sfuggire al calore, la mia mente si placò, si spense. Non percepii nulla, tranne la sensazione della pelle che si ustionava sotto il getto d'acqua; i pensieri si fermarono, i ricordi, per un attimo, svanirono.

Mi sentii vuota. Era come se non stessi vivendo quel momento, era magnifico.

Una sensazione simile la provavo soltanto quando la lametta toccava la mia pelle, tagliandola; in quel momento il flusso di pensieri si interrompeva, lasciando spazio al buio, proprio come ora.

Piegai questo corpo alla mia volontà, sottomettendolo al mio piacere. Ero io a ferire questi polsi, ero io a versare l'acqua bollente su questa pelle. Ero io a volerlo, ero io a detenere il potere su questo corpo.

Chiusi gli occhi, abbassai la testa e mi appoggiai al vetro della doccia con le mani. Sorrisi al pensiero di non avere pensieri, finalmente quelle voci incessanti nella mia mente erano silenti.

Avevo vinto, avevo vinto io questa piccola battaglia. E quelle voci avevano perso.

Aprii gli occhi e osservai le gambe diventate rosse; le toccai e l'impronta dei miei polpastrelli rimase bianca per alcuni istanti.

Pace.

Mi sentii in pace con la mia mente, ed era meraviglioso avere il controllo su di me, per una volta.

Alzai i polsi e li avvicinai all'acqua che colpì le ferite come getti di fuoco. Un impulso improvviso mi fece ritirare le braccia per un attimo.

Guardai i polsi e li riportai all'acqua. Le ferite bruciavano mentre il sangue ricominciava a scorrere indisturbato. Le medicazioni dello psichiatra si rivelarono inutili.

Cercò di limitare la mia libertà con magliette a maniche corte e raccomandazioni, ignaro del fatto che questo fosse l'unico modo per placare quelle dannate voci che giorno dopo giorno mi gettano nella confusione estrema, che non riesco più a gestire, che non voglio più gestire, ma bloccare.

Cercare di dormire la notte, ma non riuscirci a causa dei pensieri incessanti.
Provare a prestare attenzione durante una conversazione, ma non riuscirci a causa delle voci che narrano la tua vita senza tralasciare alcun dettaglio.
Rileggere la frase di un libro più e più volte, poiché la tua mente decide di non collaborare e viaggiare altrove.

Sono stanca.
Stanca di me stessa.
Stanca della vita.

Stanca di questo passato e di questo macigno di ricordi che mi pesa sulle spalle.

Sono stanca.
Stanca.
Solamente stanca.

Vorrei soltanto essere normale.
Vivere normalmente.
Avere amici.
Andare a scuola e avere come unico problema l'esame da preparare.

The Promise 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora