DIECI SECONDI

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Norah

Non ricordavo tutto e forse era meglio così, ma ciò che potevo ricordare era il suo viso rilassato mentre dormiva.

Avrei voluto, però, dimenticare che quelle ferite le avesse ricevute a causa mia. Avrei voluto sfiorarle e curarle come per magia, come riusciva a fare Rapunzel con i suoi lunghi capelli biondi.

Ma io non ero bionda e non ero neanche una principessa. Ero forse il personaggio cattivo che aveva attirato con sé il bravo ragazzo con una trappola.

Io lo stavo tenendo in trappola, perché il mio corpo aveva deciso di avvinghiarsi al suo, ed Elia sembrava starci fin troppo bene tra le mie gambe.

Sentivo la pelle scottare, come se stessi abbracciando il sole e volessi farmi ustionare.

L'attrazione fisica delle prime settimane andava bene, è normale averla quando ti piace qualcuno esteticamente, ma adesso c'è qualcosa che non va. Sì, che non va. Qualcosa che porta il mare dentro me a calmarsi e agitarsi allo stesso tempo quando l'ho vicino.

Ora, baciare sembra difficile. Spogliarsi anche. Facevo sempre tutto con facilità ma, se pensavo di farlo con lui, il cuore alzava le onde della mia ansia, sovrastando paure e restrizioni, quelle che avevo sempre posto ai miei sentimenti.

Se li ascoltavo, avrei poggiato le labbra su quella ferita presente sullo zigomo e lasciato un piccolo bacio, mentre i suoi occhi stavano al buio, cosicché non potesse vedere, vedermi per davvero.

Se avessi avuto coraggio, lo avrei svegliato dando compagnia alle sue labbra con le mie. Sembravano così sole da richiamare le mie, o forse il contrario. D'altronde ero io quella sveglia e non lui.

Ma alla fine, non feci assolutamente niente, ritirando i miei istinti.

Quella era la seconda domenica che passavamo insieme. Una seconda mattina che metteva alla luce troppe cose, anche se il tempo era nuvoloso.

Sento che lui potrebbe essere un'àncora quanto uno tsunami che può distruggermi ancor di più.

Come i suoi occhi che, dopo essersi aperti, mi salvarono e distrussero allo stesso momento.

Distese le labbra. «Sei sveglia...» Abbassò lo sguardo, accorgendosi del nostro groviglio fatto di carne e gambe.

Sveglia per fissarti, sì.

Mi limitai ad annuire, sentendomi bloccata sotto il suo sguardo. Mi liberò, però, quando stropicciò gli occhi e io mi svegliai da quella morbida realtà, rimettendomi al mio posto.

Ovviamente si accorse della distanza che avevo messo tra noi, e spense il sorriso, forse tornando anche lui alla realtà. «Come va?» domandò, passando una mano tra i capelli per sistemare le ciocche ribelli.

«Meglio. Ho un po' di mal di testa.»

«Dovresti fare colazione e prendere qualcosa per alleviarlo.»

«Sì, quando mio padre uscirà di casa.» Perché dovremo fare colazione.

«Giusto.»

Si imbambolò per un po'. Il mio corpo si sentì osservato.

La mia cute formicolava per la voglia di essere coccolata dalle sue mani. Stessa sensazione per ogni strato di pelle.

ANCORAWhere stories live. Discover now