ROTTI

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Norah

Tante volte alle parole "lasciatemi un attimo in pace", avrei voluto ricevere un "non andiamo da nessuna parte".

Alle parole "sto bene", avrei voluto sentire "non è vero".

Alle parole "non voglio affezionarmi per paura di essere abbandonata", avrei preferito "non ti abbandono".

Elia aveva sempre usato le giuste parole, tranne questa volta: la più importante.

Facevo esasperare le persone per allontanarle, lo sapevo.

Il muro che mi ero costruita - a causa delle mie paure - era così alto da non poterlo scavalcare. Questa volta, però, il muro lo scavalcò Elia e la paura divenne un nome. Dopo averci sbirciato dentro si rese conto che i miei tormenti erano ingestibili. Lo erano per me, non immagino per lui.

Ti ho fatto paura, lo so.

Qualche giorno dopo dalla nostra ultima chiacchierata, i suoi amici andarono via. Elia li salutò mentre io lo guardavo dalla finestra. Il suo sorriso era raggiante. Avrei voluto farne uno anch'io e dire loro che mi aveva fatto piacere conoscerli, ma mi limitai a pensare che ben presto li avrei dimenticati perché erano persone passeggere, come lo era Elia.

Peccato che, però, dopo altri giorni, il suo nome non mi uscì dalla testa.

Nessun nuovo manga da leggere, nessun piede nell'acqua, nessuna emozione da scoprire; quelle brutte le conoscevo già.

Non mi era rimasto altro che aspettare il momento in cui mi adocchiava prima di uscire la sera mentre mettevo il burrocacao allo specchio.

Quei dieci secondi mi facevano sentire viva. L'alcol, la musica, le distrazioni, non riuscivano più a farlo.

«Papà, stasera dormo dai Miller» gli feci sapere dopo aver addentato un pezzo di toast con salmone, avocado e uovo.

«Ok, io dovevo andare a pescare con il papà di Elia ma ha disdetto.» 

I suoi genitori erano tornati il giorno prima. «Quindi? Non vai?»

«Sì, andrò da solo. Mi rilassa.»

«Se vuoi compagnia disdico.»

Si alzò dalla penisola. «No, tranquilla.» Fece qualche passo per raggiungermi e mi diede un bacio sulla testa. «È già agosto e tra poco i tuoi amici torneranno al college. Goditeli.»

Quando rimasi sola in casa, salii al piano di sopra per sistemarmi. Indossai un solito vestitino leggero, avrei però anche messo un giubbotto a jeans; sentivo già il vento fresco entrare dalla finestra.

Guardai quella di Elia: non c'era, perciò tornai a mirare il mio riflesso allo specchio e misi il burrocacao, più triste del solito visto che i suoi occhi si trovavano altrove e non su di me. 

All'improvviso, però, qualcosa mi distrasse: il rumore di una porta sbattuta. Non proveniva da casa mia, ma dalla sua.

Sarà stato di sicuro il vento.

Stavo per agguantare il giubbotto per indossarlo ma il campanello bloccò i miei arti. Mi voltai verso Shell, seduta sul mio letto, mentre abbaiava.

Poteva essere Elia?

Ma perché sto pensando a lui? Era molto più probabile che fosse mio padre. Lui però dovrebbe avere le chiavi. Sicuramente le avrà dimenticate dentro: era una spiegazione più plausibile. 

Scesi le scale e aprii la porta d'ingresso ma mi ritrovai davanti la spiegazione meno plausibile: Elia. 

Sembrava arrabbiato e agitato, come il mare dietro di lui. Il suo profumo, grazie al vento, avvolse il mio corpo, sovrastando il mio. Averlo vicino, di nuovo, mi risucchiò nella sua onda. Nei sentimenti che provavo per lui, perché di certo qualcosa provavo.

ANCORAWhere stories live. Discover now