EPILOGO

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Norah

Avevo 23 anni e forse era prematuro volere una casa tutta mia, ma avevo un lavoro stabile, due cani e, dopo che Cloe si era trasferita da noi, avevo bisogno dei miei spazi.

Ne avevo viste di diverse ma desideravo tanto averla di fronte al mare, come l'aveva sempre desiderata la mia mamma, quindi la ricerca si restringeva.

Ma Cloe era determinata e perciò mi aiutò nell'impresa.

Nel pomeriggio di un caldo martedì di giugno, mi trovò un appuntamento in una delle villette vicino al negozio.

Erano nuove, però, e immaginavo che il prezzo richiesto sarebbe stato fin troppo alto, ma la mia psicologa mi stava insegnando a essere meno pessimista, pertanto mi presentai all'appuntamento con Cloe.

«Il costruttore della casa mi ha detto che ritarda ma mi ha dato un codice per aprire la porta. Così nel frattempo possiamo dare un'occhiata» spiegò.

Digitai il codice sul campanello e la porta si aprì.

Stavo per entrare ma Cloe frugò nella sua borsa alla ricerca del telefono. «È importante, devo rispondere. Tu vai.»

Ebbi l'istinto di tirarmi indietro, aspettarla, ma ero stufa delle ramanzine di mio padre: "Sei ancora giovane", "devi pensare a due cani", "come gestirai le bollette da sola?"

Volevo dimostrare di poter essere abbastanza forte.

D'aver lasciato la torre che mi teneva in trappola, senza l'aiuto di nessuno.

La casa sarebbe stata mia e io dovevo decidere se mi andasse bene o meno, quindi entrai dentro, lasciando la porta aperta per Cloe.

Era spaziosa, ariosa, luminosa e moderna. Balconi vista mare. Al primo piano vi era la cucina e il soggiorno. Diedi un'occhiata a tutti i mobili e utensili, ma i miei occhi si soffermarono su qualcosa in particolare.

Raggiunsi la penisola e lì poggiato, sul legno chiaro, vi era l'ultimo volume del manga che mi aveva prestato Elia.

Sfiorai la copertina per capire se fosse tutto vero. E sì, era lui.

Non credevo nel destino, ma questo era davvero strano.

«Non ci posso credere» ridacchiai tra me e me.

Quante probabilità c'erano che al costruttore della casa piacesse quel manga?

O forse al figlio, se aveva figli, chissà.

Lo lasciai lì e tornai all'ingresso per salire le scale del secondo piano, ma qualcosa sistemato sulla parete attrezzata attirò la mia attenzione: un foglio e una conchiglia al di sopra.

Era quella conchiglia.

Quella che lui mi aveva preso dal mare e che avevo perso qualche giorno prima senza una spiegazione plausibile.

«No, non può essere...»

Il battito del mio cuore sovrastò il suono dei miei sandali al solo pensiero di quel nome.

Ma era impossibile che...

Eppure l'istinto mi diceva di non credere alle coincidenze, e io mi fidavo di lui.

Con invadenza o speranza, spostai quella conchiglia e lessi le parole scritte su quel foglio: sembrava un contratto di lavoro.

Mi bastò leggere: allenatore.

E poi una firma: Elia Stone.

Portai le dita alla bocca e quella della mano sinistra sul cuore: martellava la gabbia toracica.

ANCORAWhere stories live. Discover now