PAZIENTE

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Elia

Le cene in famiglia sono le peggiori. Vorrei che durassero solo dieci secondi, perciò preferivo mangiare da solo in stanza.

Quella sera, però, non potei farlo perché l'argomento principale del litigio dei miei genitori sarei stato proprio io.

«Ecco perché manchi da casa da tutto il giorno!» si allarmò mia madre, spostandomi vicino al lampadario per vedere meglio il mio zigomo. «E queste?» Si concentrò anche sulle mie nocche. «Mi spieghi cosa hai combinato?»

Non mi aveva neanche dato il tempo di posare la tavola da surf. Avevo aperto la porta e stava lì dietro come un avvoltoio, nonostante i fornelli accesi. «Niente di importante.»

Sviai il discorso e cambiai strada per posare la tavola e tentare di fare una doccia, ma lei non mi permise di salire al piano di sopra.

«Io ti consiglierei di parlarne con tuo padre oggi perché se viene a saperlo nei giorni successivi è peggio» parlò sottovoce.

«Ti preoccupi per me o per la reazione che possa avere lui?» Studiai con attenzione i suoi occhi.

Sospirò con frustrazione. «Voglio solo che non perdi la tua strada. Sei troppo distratto ultimamente.»

Non capiva che la concentrazione la perdevo proprio dentro le mura di casa: nel New Jersey, qui, ovunque c'erano loro io riuscivo solo a sentire i loro litigi. Non a caso mi ero già laureato: al college non erano presenti e potevo concentrarmi.

Il rumore di una porta chiusa. Passi. Mio padre. «Che hai in faccia?»

Esasperata, mia madre tornò ai fornelli e io lo affrontai, da solo, come tutte le cose che facevo. «Lascia perdere.» Non avrebbe capito.

Scese le scale mentre io ero pronto a salirle. «No» mi toccò la spalla. «Siediti. Dobbiamo parlarne.»

Mai dire di no al poliziotto Stone.

Ci sistemammo attorno la tavola, uno di fronte all'altro. «Ti ascolto.»

«È un interrogatorio?»

«Non scherzare, Elia.»

Peccato che ero serissimo. «Ho picchiato uno.» Gli occhi di mia madre che si socchiusero da dietro le spalle di mio padre non mi fermarono nel continuare il racconto. «Era insistente con Norah, la stava portando chissà dove e lei non era cosciente.»

«E credi che picchiarlo sia servito a qualcosa?»

«A togliergli le mani di dosso, sì.»

«E se ti denunciasse? Dov'è la prova di ciò che tu stai rivelando a me?»

«Non è una cosa a cui ho pensato. Mi interessava spaccare la sua faccia piuttosto che tenere pulita la mia e lasciarlo libero di fare ciò che voleva.»

Mio padre si stava torturando le mani. Non era abituato a parlare con me di certe cose: ero sempre calmo, per loro. Il figlio perfetto. «Potevi chiamare me.»

«Lo sai che voi poliziotti non agite senza prove, e quel ragazzo aveva bisogno di una lezione imminente.»

Il viso gli divenne rosso e le vene del collo più gonfie. «Non è così che funziona!» Alzò la voce mentre io restai impassibile. «Sei mio figlio e devi comportarti bene. Se la figlia del signor Rivera non è in grado di darsi una regolata, la colpa non deve ricadere su di te!»

ANCORAWhere stories live. Discover now