STALKER

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La sala mensa all'interno dell'ospedale era così piena di gente che sperare di trovare un tavolino libero era praticamente impossibile, perciò io e Mary ci ritrovammo in mezzo alla strada alla ricerca di una tavola calda. 

Mentre passeggiavo accanto a lei, una parte di me era scioccata, l'altra sarebbe voluta scoppiare in una risata isterica. L'espressione convinta di quel paziente mentre mi informava che ero sua "moglie" era l'unica cosa divertente che mi fosse capitata nelle ultime ventiquattro ore. Avevo già avuto a che fare con pazienti in stato confusionale ma nessuno di loro aveva tentato di rimorchiarmi. Qualcuno mi aveva timidamente chiesto se fossi fidanzata, o se per caso convivessi, ma lo avevano fatto semplicemente perchè, il più delle volte, la gratitudine che provavano verso noi dottori era così radicata da venir scambiata per qualcosa di più profondo. Invece quell'uomo non aveva mostrato alcuna gratitudine, anzi, sulle prime si era persino alterato, sgridandomi. 

Sospirai, chiedendomi per l'ennesima volta cosa potesse essergli capitato per shoccarlo così tanto.

"Non posso crederci che il tuo capo ti abbia messa davanti ad un ultimatum", brontola Mary, aprendo la porta di un piccolo bar in stile irish. "Ma sai, aldilà di quello stronzo, credo comunque tu debba prendere una decisione in fretta".

"Come se fosse facile", borbottai, spostandomi al bancone. "Prendo un tramezzino e dell'acqua, grazie".

Mary ordinò e indicò un tavolino libero accanto alla vetrata che si affacciava sul marciapiede. "Ci sediamo lì?"

Annuii e mi lasciai cadere sulla sedia proprio mentre il mio stomaco protestò per la fame.

"Perciò...", attaccò, aprendo una confezione di grissini. "Qualche idea su chi possa essere il padre?".

Spezzai un grissino in due parti e me lo infilai in bocca, giusto per prendere tempo. "Ci ho pensato, ovviamente".

"E...?", mi incalzò.

Mi accasciai sullo schienale della sedia, gettando sulla tovaglia il pezzo di grissino mangiucchiato. 

"Dopo il mio ex non sono uscita con nessuno, lo sai".

Il cameriere si avvicinò con le nostre ordinazioni e le posò sul tavolo. Quando se ne andò, Mary mi rivolse un'occhiata critica.

"Sei sicura di non esseri ubriacata negli ultimi mesi?".

Per l'ennesima volta tornai indietro con la mente, analizzando con attenzione gli eventi principali che riuscivo a ricordare. Ma la situazione rimaneva sempre la stessa: turni in ospedale, spesa al supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro, alcune uscite con Mary e gli immancabili pranzi domenicali dai miei. E quel sogno. Tutte le notti, lo stesso sogno nel quale il protagonista era un uomo che al momento si trovava sotto sedativi, sdraiato nell'ospedale dove facevo tirocinio.

"Sono stata così presa dal mio tirocinio che in questi ultimi mesi non ho avuto nemmeno il tempo di lavarmi le mutande, figurati ritagliarmi un'intera nottata in un locale".

Intrecciò le dita davanti al suo naso e si sporse verso di me. "Come diavolo c'è finito un bambino dentro la tua pancia?".

Abbozzai, isterica. Sembravo pazza. Di nuovo le immagini fugaci di quel sogno mi rimescolarono lo stomaco. "E se qualcuno mi avesse abusata nel sonno?".

Mary tornò a rizzarsi sulle spalle ma dopo qualche istante liquidò la mia ipotesi con un gesto della mano. "Naaa.... so che dormi fissa, ma te ne accorgeresti se un tizio ti si sdraia sopra per infilarti...".

"Va bene, ho capito", la bloccai, gettando un'occhiata al tavolo accanto al nostro. "Hai reso l'idea".

Quindi spostai lo sguardo contro la vetrata, osservando distratta una mamma che spingeva una carrozzina verso le strisce pedonali. Alcuni passanti si fecero da parte per lasciarla passare e lei sorrise di rimando, grata per quella gentilezza. Quando la carrozzina venne inghiottita dalla folla, tornai a fissare Mary.

SEI MIA PER DIRITTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora