MANO NELLA MANO

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POV NADINE

Smisi di camminare avanti e indietro e tirai la tenda, sbirciando all'esterno; il cielo era ancora blu scuro ma l'orizzonte stava tracciandosi di rosa, tingendosi in sfumature sempre più violacee. L'alba stava inghiottendo la notte, segnando l'inizio dell'ultimo giorno che avrei trascorso nel futuro.

Spiaccicai il cellulare contro l'orecchio e contai gli squilli, restando immobile davanti alla finestra. Avevo l'impressione di star lasciando troppe cose in sospeso. Mi sembrava quasi di essere finiti in una sorta di telefilm cui avevano cancellato la programmazione sul finale, lasciando lo spettatore ammutolino a fissare lo schermo nero della televisione e a chiedersi in che modo la storia sarebbe andata a finire. Annaspavo dentro di me alla ricerca di una conclusione che non prevedesse dover dare l'addio alle persone che mi avevano accompagnata in questa specie di sogno. Ma ovunque cercassi, non riuscivo a trovare un'alternativa a quel dolore nuovo e fulminante che spesso precede una crisi di panico.

Le lacrime erano lì, già pronte a riversarsi sulle mie guance, in attesa solo di un minimo cedimento da parte mia. E sarebbe arrivato non appena quegli squilli sarebbero stati sostituito dalla voce a cui per tutta la vita mi ero aggrappata.

Ero in dubbio se riattaccare o meno, se correre sotto le coperte ed aspettare solo che l'inevitabile si compisse. Ma a metà del sesto squillo, col cellulare così stretto nella mano da intorpidirmi le dita, mio padre rispose.

"Pronto?". La sua voce era roca per il sonno, bassa a tal punto da farmi sospettare di aver immaginato soltanto di averla sentita. 

"Papà, ciao. Sono io".

Inspirò a fondo, poi un sorriso gli attraversò la voce quando pronunciò il mio nome: "Nadine? Ma che ci fai sveglia a quest'ora?".

Ruotai gli occhi, bloccando una lacrima che impavida e insolente si era staccata dalle altre, minacciando di abbattere gli argini. "Non riuscivo a dormire".

Sentii un sospiro seguito dal fruscio delle lenzuola. Con tutta probabilità si stava alzando per non svegliare la mamma.

"Problemi col bambino?", chiese, il tono serio e preoccupato.

"E' ancora troppo presto perchè la pancia sia tanto grande da farmi soffrire di insonnia".

Tossicchiò contro la cornetta e l'allontanai d'impuso dall'orecchio. "Di fatto mi stavo riferendo al tuo Alec".

"Papà", lo sgridai.

"Daccordo, daccordo. Fingerò che mi stia simpatico per tutto il tempo della telefonata. Allora, avanti, dimmi che succede. Perchè non riesci a dormire?".

Lasciai andare la tenda e mi voltai vreso la scrivania. Nella penombra scorsi alcune fotografie che avevo scattato insieme a lui quando mi aveva aiutata a traslocare in questo appartamento. Piccole istantanee di una vita che non era mai esistita. Strizzai gli occhi per bloccare le lacrime.

"Avevo solo voglia di sentirti", sussurrai per non lasciargli capire dal tono quando mi tremasse la voce.

"Alle cinque del mattino?".

Soffocai un lamento. "Mi dispiace di averti svegliato".

"Non preoccuparti. La mia sveglia sarebbe suonata tra circa...", soffocò uno sbadiglio, "... due ore".

"Mi dispiace", ripetei, a corto di parole.

"No, no, tranquilla". Il tono si addolcì come ogni volta che mi confidavo con lui dopo un'esame al college che non avevo passato a voti pieni. "Sono il tuo papà, no? E a che servono i papà se non ad ascoltare le proprie bambine alle cinque del mattino?".

SEI MIA PER DIRITTOWhere stories live. Discover now