C'E' UN VICHINGO NEL MIO SALOTTO

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POV NADINE

Tutto quello che riuscii a vedere fu una sagoma imponente che si stagliava contro la luce del lampione, per poi superarla e confondersi con le ombre del piccolo giardino. La mano di quell'uomo si abbattè contro la mia bocca, sigillandola e lasciando che il mio urlo si disperdesse nella notte. Sebbene la paura giocasse a mio sfavore, sapevo che non avevo molto tempo per cercare di sfuggirgli prima che mi spingesse all'interno del mio appartamento. Feci saettare lo sguardo contro le case vicine e con orrore mi accorsi che tutte le luci erano spente. Un brivido gelido mi pietrificò la schiena quando ebbi l'orribile presentimento che nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. 

Ripresi a lottare per divincolarmi dalla sua stretta micidiale, ma le sue braccia sembravano essere diventate una gabbia di metallo che mi stritolava al punto da farmi lacrimare gli occhi.  

"Buona", mi bisbigliò all'orecchio. "Non ho intenzione di farvi del male".

Sì, come no , pensai, lottando con ancor più vigore.

La sua stretta non diminuì, nemmeno quando riuscii in qualche modo a sferrargli un calcio contro lo stinco. Quell'uomo sembrava essere immune al dolore. 

"Se promettete di non urlare vi lascierò libera la bocca", promise, rivolgendosi a me come se stesse parlando a più persone contemporaneamente. Qualunque copione stesse recitando, si era calato molto bene nella parte. 

Poi quegli inquietanti occhi scuri si mossero velocemente, in cerca dei miei, e quando li trovarono li soggiogarono, immobilizzandomi. Avevo già visto quegli occhi, ne avevo la più assoluta certezza. Eppure, malgrado li ricordassi, non ero in grado di affiancarli a nessun ricordo. Era strano. Anche se riuscivo a richiamare alla mente ogni dettaglio del suo volto, quel brandello di ricordo sembrava quasi appartenere a qualcun altro.

"Cosa vuoi farmi?", boccheggiai, appena la sua mano si scostò dalla mia bocca.

"Voglio parlare. Solo parlare".

L'uomo fece un passo indietro, liberandomi dalla sua stretta, ed io dovetti aggrapparmi allo stipite della porta per non cadere. La paura arrivò tutto d'un colpo, colpendomi allo stomaco con la forza di un pugno e togliendomi il respiro. Mescolata all'adrenalina, faceva sembrare le mie ginocchia un ammasso di gelatina inconsistente e incapace di sorreggere il mio peso.

"Nadine", imprecò, un attimo prima di sentirmi scivolare verso il basso. 

Feci violenza su me stessa per mantenere le palpebre spalancate, ma grosse macchie nere cominciarono a danzare davanti ai miei occhi, sempre più grandi, nutrendosi di ogni rimasuglio di forza che mi era rimasta.

"Oh, merda", fu l'ultima cosa che sentii.

*****

Quando mi risvegliai, un dolore acuto alla testa mi fece strizzare le palpebre. Mi sentivo così sotto sopra che per un momento non seppi neppure ricostruire in senso logico ciò che era successo. Poi, pian piano, mentre il mio cervello si faceva strada tra l'annebbiamento, riuscii a collocare i ricordi nella giusta cronologia, e il volto di quell'uomo spezzò il buio assoluto nella mia mente. Il mio corpo rilassato si irrigidì all'istante, tesissimo, pronto al peggio.

Non mi servì guardarmi attorno per capire che ovunque fossi, non ero sola. La presenza di quell'uomo era palpabile, come la mia paura. L'odore forte che sprigionava, un miscuglio tra il fetore di cavallo e il virile profumo maschile, era posato su ogni cosa. 

Una forte luce mi colpì in volto per poi spegnersi. E ancora. Pareva quasi che la corrente elettrica andasse e venisse. Da sotto le palpebre mi sembrava di essere finita in mezzo ad un temporale: lampi di luce venivano inghiottiti dal buio. E subito dopo un altro lampo tranciava di netto l'oscurità. Che diavolo stava succedendo? Dov'ero? 

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