ALTO TRADIMENTO

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POV NADINE

Me ne stavo seduta in mezzo al letto, con la schiena contro la testiera e il mio pc portatile posato in bilico sulle ginocchia, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco la schermata. Le mie dita erano incollate ai tasti, ferme, troppo spaventate per digitare nel motore di ricerca le centinaia di domande che mi tampinavano, mettendo sotto sopra le mie emozioni. 

Sbattei di nuovo le palpebre; le scritte apparirono subito più nitide, ma l'istante successivo tornarono sfocate. Era tutto inutile. Le lacrime non volevano smettere di scendere. Mi riempivano gli occhi, in attesa che sbattessi le palpebre per scivolare fuori dagli argini. Da quando Alec era entrato nella mia vita non avevo mai lasciato libero sfogo alla frustrazione e alla paura, cercando disperatamente di arginarle e impedendo quindi che prendessero il sopravvento. Ma ora era cambiato tutto. La decisione che il mio capo mi aveva intimato di prendere era lì, sotto al mio naso. C'era sempre stata, solo che avevo finto di non vederla. Ed era così dannatamente spaventosa che per accettarla aveva l'estremo bisogno di piangere. Avevo bisogno di espellere ogni sentimento negativo attraverso il pianto, in modo tale che dentro di me si creasse uno spazio per accogliere una felicità che non potevo nemmeno sperare di provare. Perchè era tutto sbagliato. Tutto. Tranne la vita che stava crescendo dentro di me.

Il giuramento che avevo pronunciato il giorno della mia laurea prevedeva che anteponessi la vita delle persone a tutto quanto; come potevo quindi anche solo prendere in considerazione l'idea di sbarazzarmi del mio bambino?

Appena avevo urlato ad Alec di non volere nostro figlio, una parte di me si era ribellata, sgomitando tra rabbia e paura per poter risalire verso i miei occhi sotto forma di lacrime. Ed eccola lì, la risposta che cercavo. L'unica che non avrei trovato su internet o in qualche libro custodito nella biblioteca comunale. La ricerca per trovarla si era svolta dentro di me, tra i vari pensieri che si mescolavano, gettando panico e confusione su tutto ciò che invece non lasciava spazio ad insicurezze.

Mi tastai la pancia, appena un poco più gonfia sotto l'ombelico e ritrassi in fretta la mano quando vidi uno spiraglio di luce crearsi tra lo stipite della porta. La lingua di luce si allungò, sbattendo contro i miei piedi, e poi scomparì quando Alec richiuse la porta alle sue spalle. La sua statura era imponente, sembrava riempire l'intera stanza. Mi individuò in un attimo, nonostante il buio, e in fretta attraversò lo spazio che ci divideva. Ad ogni passo il suo volto veniva illuminato dai fasci di luce arancio che filtravano dalla finestra e tornò ad immergersi nel buio quando si fermò ai piedi del letto.

"Alzatevi", ordinò, calmo e autoritario allo stesso tempo. 

Posai il pc sulle coperte e scivolai giù con le gambe giù dal bordo del letto. "Non avrei dovuto dire quella cosa. Non pensavo sul serio di volermi sbarazzare del bambino".

"In piedi", ripetè, usando un tono un pò più duro.

Repressi un gemito di disappunto. Odiavo il modo che aveva di comandarmi, come se ogni mia azione dovesse dipendere dalle sue decisioni. Per quanto sapessi molto bene che nella sua epoca un atteggiamento simile era normale, adeguarmi e sottomettermi era tutto un altro paio di maniche. Le nostre mentalità erano destinate a scontrarsi anche nelle più piccole cose, ed ogni volta che lo facevano migliaia di scintille esplodevano nei nostri mondi, bruciando quei fili sottili che ci tenevano uniti. 

Mi sollevai lentamente, sforzandomi di guardarlo in faccia. Non era semplice affrontare il suo sguardo dopo quello che avevo detto. E ancora meno sapendo che nella sua testa trovavano rifugio ricordi che io avevo perduto. Il nostro passato era per me a toccata di mano. Vicino ma inafferrabile. Importante e fondamentale per riuscire a rincollare i pezzi del mio cuore che erano stati disintegrati durante il sortilegio. 

SEI MIA PER DIRITTOWhere stories live. Discover now