ALONE

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POV NADINE

"Arrivo!", urlai contro la porta, saltellando su un piede solo mentre cercavo di infilarmi una converse.

I colpi alla porta aumentarono di ritmo e intensità, incitandomi a percorrere l'ultimo tratto di salotto di corsa. Sollevai lo spioncino e sbirciai: Mary.

"Ma che diavolo ci fai qua?".

"La smetti di fare domande idiote?", dallo spioncino la sua espressione mi fulminò.

Tolsi il catenaccio e girai la chiave in due mandate. La porta si abbattè sulla parete e Mary entrò a passo di marcia, lasciando dietro di sé una lunga scia di fango e neve.

"Avevo un tappettino giusto qua fuori", borbottai. "Non l'hai notato?".

Si voltò come una furia, scuotendo i capelli fradici. Le punte gocciolavano sopra il davanti della giacca e le si erano arricciate in una matassa aggrovigliata. Il naso arrossato e colante poteva significare soltanto che avesse passato le ultime ore all'aperto. 

Mi puntò un dito contro, agitata. "Mettiti l'altra converse".

Abbozzai, acida. "Perchè credi ce l'abbia in mano? Per guardarla da vicino? La stavo infilando quando tu ti sei messa a litigare con la porta. Scommetto che ci hai lasciato dei buchi a forza di...".

"Devi sbrigarti, Nadine", mi parlò sopra, frettolosa. Era così agitata che si mangiava l'ultima sillaba delle parole. "Non sto scherzando". Mentre ancora stava parlando tolse la mia giacca a vento dall'appendiabiti e me la scagliò sopra.

Fui lenta nei riflessi e mi scivolò a terra insieme alla converse. Più osservavo Mary, più mi rendevo conto di quanto la sua espressione fosse tesa. L'ironia giocosa alla quale mi aveva abituata era completamente scomparsa, stravolta dalla preoccupazione. Era difficile avere a che fare con una Mary seria. Se non altro non stava imprecando come quella volta che all'areoporto le avevano perso la valigia. Si limitava a fissarmi e a muoversi a scatti per la stanza.

"Vestiti e andiamo. Vestiti pesante. Fa un freddo cane là fuori", proseguì, chinandosi a raccogliere la converse. Me la spiaccicò al petto. "Muoviti".

"Dove dobbiamo andare?", azzardai.

"Dal tatuatore".

"Perchè?".

Mi strappò la scarpa e si accucciò davanti a me. "Alza la gamba".

"Mary, so vestirmi da sola", protestai.

Ma lei non mi stava ascoltando. Con un colpetto dietro al ginocchio mi fece posare il piede sulla sua coscia e in un batter d'occhio mi stava già facendo il nodo al laccio.

"Mi dici cosa è successo?", chiesi.

"Il braccio. Sbrigati", sentenziò, cercando di infilarmi la manica della giacca. "Vuoi sapere cosa è successo?".

Annuii, incerta. La sua espressione stava cominciando ad agitare anche me.

"E' successo che ho appena minacciato di morte Alec per la seconda volta". 

"Cosa hai fatto?", strillai.

Mi infilò l'altra manica. Mi sentivo una bambola in balìa di una sarta folle e psicopatica. 

"E' successo che lui teme di averti persa e di non essere alla tua altezza per via della vostra diversità", continuò.

"A causa di ciò che ho ricordato?", indagai.

Annuì, distratta dal suo tentativo di allacciare la cerniera. 

Le bloccai le mani. "Quando ho avuto quel ricordo mi sono fatta prendere dal panico, lo ammetto. Per questo me ne sono andata via. Avevo bisogno di tempo. Di pensare".

SEI MIA PER DIRITTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora