DISCOTECA

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POV MARY

Guardai lo schermo illuminato dello smartphone, imprecando a denti stretti quando riconobbi il numero di Nadine. Ad ogni squillo, il cellulare vibrava sul mio palmo sudato, permettendo ai ricordi di riaffiorare davanti ai miei occhi, simili allo storyboard di un film dell'orrore: la mia mano stretta all'elsa della spada, lo sguardo sorpreso e vulnerabile di Alec fisso su di me, sotto sforzo per capire cosa mi fosse accaduto, il mantello viola che mi ricadeva attorno alle spalle, cincendomi nel suo abbraccio di morte e rabbia. E quel volto così alieno e familiare allo stesso tempo. Il volto di un uomo che non avevo mai visto ma che sentivo legato a me in modo profondo e radicato. Feci per nascondere il cellulare all'interno della borsetta ma all'ultimo, con un gemito di frustrazione pigiai il tasto di risposta. La vibrazione cessò e contemporaneamente il mio cuore perse un battito.

"Non posso crederci, Alec", esordii, fingendomi indignata per non fargli intuire quanto fossi in ansia. L'ultima volta che c'eravamo visti lo avevo minacciato di morte, e non è che ora mi sentissi pronta per una tranquilla conversazione telefonica. "Per essere uno che ha vissuto per trent'anni tra campi e pecore ti sei integrato bene con la tecnologia".

La cosa allucinante era che sapevo con certezza che fosse lui a chiamarmi dal cellulare di Nadine prima ancora di rispondere. D'altra parte, lei era fin troppo educata per disturbarmi alle due del mattino. 

"Vi ho svegliata?", tentennò.

"Cosa hai detto?", urlai nel ricevitore, tappandomi l'orecchio libero per isolarmi dal chiasso.

"Ho chiesto se stavate dormendo?".

Fui quasi tentata di mentire, giusto per farlo sentire in colpa. "No, stavo facendo quattro salti con le amiche. Aspetta un momento che esco di qua".

Silenzio. "Perchè voi e le vostre amiche state saltando?".

Mi allontanai dalla calca di ragazzi che stavano fumando all'ingresso del pub e balzai su un muretto poco distante che delimitava il parcheggio. 

"E' un modo di dire; sono in un pub a ballare".

Ancora silenzio. "Nel futuro ballate saltando?".

"Lo sai che è snervante parlare con te?". Feci dondolare le gambe, chiedendomi come potesse ignorare il nostro ultimo incontro. Era possibile che mi fossi sognata tutto? Scartai subito l'idea. "Perchè mi stai cercando?".

"Io e Nadine abbiamo incontrato un tatuatore che potrebbe disegnare il simbolo che stavamo cercando".

"E lo avete trovato sulle pagine gialle?".

"Dove? No, lo abbiamo incontrato nel mio castello. Stava seguendo Nadine da anni".

"Rettifico tutto: parlare con te non è affatto snervante. Direi piuttosto inquietante".

Alcuni ragazzi lanciarono in aria una bottiglia di vodka e il vetro si infranse sull'asfalto, a pochi centimetri dalla mia auto. Sgranai gli occhi e balzai giù dal muretto, avvicinandomi per tenerli d'occhio.

"Okay, raccontami tutto dal principio".

La voce di Alec, profonda nonostante la linea disturbata e le voci stridule di alcune ragazze che cercavano di intonare la canzone che il dj aveva messo, cominciò a raccontare nel dettaglio tutto ciò che era accaduto, soffermandosi sui punti salienti e dilungandosi poi in una sorta di autocommiserazione.

"Mi sfugge un punto", lo interruppi, guardando si sfuggita un ragazzo evidentemente ubriaco che mi barcollava attorno per attirare la mia attenzione. 

"Aspettate! Dove siete?".

"Tra la 435esima e Edinburgh Street. Perchè?".

"Sto arrivando".

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