Undici - Mihangel.

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Capitolo revisionato.

Sospiro, sarà la quinta volta che lo faccio. Alzo lentamente il braccio per non svegliarla, scosto il lenzuolo rosa e mi metto seduto sul suo letto, prendendomi la testa fra le mani.

Mi alzo di scatto, provocandomi un bel mal di testa, che mi costringe a chiudere nuovamente gli occhi e ad aspettare che passi. Avanzo con lentezza, svogliato, e mi avvicino alla finestra; poggio un gomito sul davanzale gelido, ed il mento sul palmo, con animo afflitto e pensieroso. Osservo le poche macchine sfrecciare di corsa nel cuore della notte, dopotutto è sabato sera e la casa di Marta si trova in una parte di Rimini non molto popolata.

Fuori c'è una calma così placida, l'atmosfera è così silenziosa, la mia testa così piena di pensieri che se non scoppia è davvero un miracolo.

Come al solito, quando non riesco a dormire, il mio pensiero ricade sempre su Gabriele, il mio fratellino, -che dovrei seriamente smetterla di chiamare così, perché gli anni che separavano le nostre nascite sono soltanto due. Ritorno con la mente a quei giorni, a quei momenti orribili, a quell'avvenimento che non immagini mai possa accadere proprio a te ed invece succede. Si verifica. Ti corrode, sfibra, ti consuma, lacera. Ti rende una persona diversa. La mia vita è schifosamente perfetta, eh Alisya? Mio fratello è morto, mio fratello non c'è più e, a distanza di tre anni, ancora non me ne faccio una ragione.

Chi è che lo ha ucciso? Chi è che ha strappato la vita ad un ragazzo di quattordici anni? Chi è che ha rifilato quella pasticca di extasy ad un giovane che era andato ad una festa e non è più tornato a casa?

Il caso è stato archiviato, irrisolvibile, ed è per questo motivo che sono entrato nel gruppo criminale più pericoloso qui a Rimini, per trovare una risposta a tutte queste domande.

L'unico che può rispondermi è Testa, il loro grande e rinomato capo, che dovrebbe tornare a fine agosto per prendere una ragazza, o una cosa del genere -motivo che, sinceramente, a me poco importa. L'unica cosa che mi interessa, al momento, è parlare con lui. Tanto, ormai mi conoscono da un anno, ho la loro fiducia, e so che avrò anche le loro informazioni.

Le lacrime si accalcano al di sotto delle mie palpebre, ma cerco di non piangere. Gabriele era una persona solare, e non avrebbe voluto. Piuttosto, devo pensare a quello che domani mattina mi tocca fare: è domenica, ed è il giorno in cui si spaccia di più. Il rituale è il seguente: ci incontriamo nei pressi del parco Fellini, la più grande piazza di spaccio; il mio ruolo non è rischioso, perché non consiste nello spacciare o nell'unire la droga pura ad altre sostanze, bensì io faccio il palo, controllo che non ci siano gli sbirri.

E' anche per tutta questa situazione assurda, che ho lasciato andare Alisya. Insomma... a me lei interessa e, dannazione, solo Dio sa quanto mi sono sentito stupido nel lasciarla andare. Ma da quando faccio parte del gruppo di Testa, non posso far affezionare, innamorare, infatuare qualcuno di me, come potrei? Rischio la vita ogni maledetto giorno, ma a me non interessa nulla: voglio solo che l'assassino di mio fratello faccia la sua stessa fine. E poco importa, sinceramente, se a metterci le penne sia io.

Che l'incontro con Alisya sia un regalo dal cielo? Gabriele, mi stai aiutando tu? E' quello che ho cominciato seriamente a pensare, da quando oggi -o meglio, ieri- mi sono ritrovato, fra uno sbuffo e l'altro, a ritirare le chiavi da lei, in uno degli appartamenti di mio padre.

Com'è che si dice? "Tra il dire e il fare, c'è di mezzo il mare", ma la versione di Michelangelo Sedita è "Tra il dire e il fare c'è di mezzo il coraggio." Ed io non ne ho; non l'ho mai avuto. Quello che ho fatto stasera è imperdonabile, continuo a ripetermi. Erano due mesi che non baciavo qualcuna che non fosse Marta, ma ovviamente sono un codardo, e altro non ho fatto che rovinare l'atmosfera di pace, intimità e sicurezza che si era creata fra me ed Alisya stasera. Ed io ho rovinato tutto. Ho sempre sbagliato tutto.

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